Pnrr giustizia in ritardo, l’Anm: “Noi mai consultati né ascoltati, ora il governo non ci chieda di supplire ai suoi vuoti”


“Non si può chiedere all’istituzione giudiziaria di supplire a vuoti che sono innanzitutto di responsabilità politica e ministeriale. Spetta al legislatore e al governo dimostrare che l’efficienza della giustizia è davvero una priorità per il Paese e non terreno di propaganda“. In un documento dai toni netti, l’Associazione nazionale magistrati richiama la politica alle sue responsabilità per il probabile fallimento dell’obiettivo Pnrr sulla riduzione della durata media dei processi civili. L’Italia si era impegnata, entro il 30 giugno del 2026, ad abbattere del 40% il dato del 2019, portandolo da sette a quattro anni circa: una sfida “di portata eccezionale“, assunta con l’Europa “senza consultare chi opera sul campo, nemmeno ai fini di una previsione di fattibilità”, accusano le toghe nel testo approvato a maggioranza dal Comitato direttivo centrale, il “parlamentino” dell’Anm. Così, a nove mesi dalla scadenza, l’obiettivo è ancora lontanissimo e quasi sicuramente non verrà raggiunto: infatti, “nonostante la magistratura italiana sia la più produttiva d’Europa”, la lentezza dei processi “sconta criticità croniche rispetto alle quali le nostre indicazioni nel corso degli anni sono cadute nel vuoto e a cui si sono aggiunti gli effetti di riforme che hanno contribuito ad aumentare il contenzioso civile e tributario e ad allungarne i tempi di definizione“, denuncia l’associazione.

Di fronte ai dati sconfortanti (la riduzione è poco superiore al 20%) a inizio agosto l’esecutivo ha varato un decreto legge con una serie di misure d’emergenza, tra cui il reclutamento volontario di cinquecento giudici pagati “a cottimo” (l’incentivo sfiora i diecimila euro) per smaltire a distanza il lavoro dei tribunali più in difficoltà, o l’allungamento del tirocinio dei giovani magistrati per farli contribuire al lavoro delle Corti d’Appello. “Prendiamo atto delle misure che il legislatore ha inteso adottare e, con alto senso di responsabilità istituzionale, continueremo a fare la nostra parte”, si legge nel documento dell’organismo rappresentativo dei magistrati. Tuttavia, secondo l’Anm, gli interventi messi in campo dal governo “contribuiscono alla deriva burocratica della funzione senza incidere alla radice sulle cause del problema”, e quindi “non devono diventare modello ordinario di gestione della giustizia”, ma “possono essere tollerati solo in via eccezionale“. In particolare, lo smaltimento delle sentenze a cottimo “orienta l’esercizio della funzione giurisdizionale al raggiungimento di obiettivi meramente statistici, secondo meccanismi che introducono nell’esercizio della funzione il premio di risultato e creano disparità di trattamento all’interno degli uffici”.

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Le soluzioni invocate dall’Anm, invece, sono sempre le stesse: “Coperture degli organici dei magistrati e del personale amministrativo” (scoperti rispettivamente al 17 e al 40%); “razionalizzazione della geografia giudiziaria“, chiudendo i tribunali più piccoli; “introduzione di strumenti deflattivi per il contenzioso civile” e “stabilizzazione dell’ufficio per il processo“, gli assistenti giudici assunti con contratti a termine, la gran parte dei quali rischia di rimanere a casa dopo il 30 giugno 2026. “Il Pnrr non è mai stato concepito come un insieme di numeri da raggiungere, ma come un’occasione storica per costruire una giustizia più efficiente, moderna e sostenibile. Se oggi si ricorre a strumenti emergenziali, è perché quello spirito originario non ha trovato effettivo spazio“, sottolinea il documento. “Ribadiamo che i magistrati continueranno a fare la loro parte, ma senza una presa d’atto chiara e senza interventi strutturali effettivi, il Paese rischia di fallire non solo l’appuntamento del 2026, ma anche, in prospettiva, l’obiettivo di rendere realmente efficiente il servizio giustizia: di ciò non si potrà addossare alcuna responsabilità alla magistratura”, è la conclusione.



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