Dopo aver incontrato a Roma il presidente degli industriali Emanuele Orsini, il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, è tornato a parlare delle agevolazioni per le imprese, anticipando che in legge di bilancio si arriverà a un nuovo incentivo che supererà l’attuale dualismo dei piani Transizione 4.0 e Transizione 5.0 in favore di una misura organica, pluriennale e, soprattutto, finanziata con risorse nazionali. Un cambio di passo che permetterebbe quindi di svincolare il sostegno agli investimenti innovativi delle imprese dai rigidi paletti temporali e normativi del PNRR, per restituire al sistema produttivo quella stabilità necessaria a pianificare la competitività di lungo periodo.
La fine di Transizione 5.0
Il piano Transizione 5.0, con una dotazione di 6,3 miliardi di euro provenienti dal capitolo Repower EU all’interno del PNRR, ha rappresentato un importante strumento per accelerare la doppia transizione digitale ed ecologica, ma ha portato con sé i vincoli intrinseci del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La scadenza per il completamento degli investimenti, fissata al 31 dicembre 2025, e l’ormai poco probabile proroga lasciano pensare a una prossima conclusione di questa esperienza.
Essendo parte del PNRR, il piano Transizione 5.0 ha dovuto anche scontare il vincolo del principio del “Do No Significant Harm” (DNSH), il regolamento europeo che impone agli investimenti finanziati dal PNRR di non arrecare alcun danno significativo a sei obiettivi ambientali, che di fatto esclude o limita fortemente l’accesso agli incentivi per interi comparti industriali. Si tratta dei settori cosiddetti hard-to-abate o energivori, come la siderurgia, la ceramica, la carta e la chimica, che pur essendo cruciali per l’economia nazionale, faticano a rispettare i criteri restrittivi del DNSH. Il risultato è stato paradossale: proprio le imprese che necessitano maggiormente di investimenti per la decarbonizzazione si sono trovate con le minori opportunità di sostegno.
Una nuova misura strutturale per la twin transition
È proprio per questo che la proposta di una misura strutturale finanziata da risorse nazionali assume particolare rilievo.
Sganciarsi dal PNRR significa innanzitutto estendere l’orizzonte temporale degli incentivi magari a un nuovo triennio o quinquennio, offrendo alle aziende la certezza indispensabile per programmare investimenti pluriennali in tecnologie e nuovi processi produttivi. E permetterebbe di ricalibrare i criteri di accesso, includendo anche quelle filiere energivore che, pur non potendo azzerare il proprio impatto ambientale nel breve termine, possono intraprendere percorsi virtuosi di riduzione delle emissioni e di efficientamento energetico.
L’ipotesi di un’architettura a tre stadi
I dettagli della nuova misura siano ancora in fase di studio ai tavoli tecnici del Ministero, ma l’architettura più plausibile potrebbe essere quella di un modello “modulare”, a partire dalle esperienze positive dei due piani in via di dismissione.
La prima componente potrebbe consistere in un incentivo di base per la trasformazione digitale, simile a Transizione 4.0 e con un’aliquota del credito d’imposta più contenuta rispetto al passato. Lo scopo sarebbe garantire la prosecuzione del percorso di digitalizzazione dei processi produttivi, un asset ormai irrinunciabile per la competitività manifatturiera.
A questo si affiancherebbe un secondo “modulo” specificatamente dedicato alla transizione green. L’obiettivo sarebbe replicare la finalità di Transizione 5.0, ovvero premiare gli investimenti che generano un significativo risparmio energetico, ma con procedure più snelle e accessibili, superando le complessità burocratiche che oggi preoccupano le associazioni di categoria e magari anche quel vincolo deterministico tra investimenti in digitale e risparmio ottenuto, reindirizzando il focus sul risultato (il risparmio energetico e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento).
E poi potrebbe essere prevista una premialità addizionale per le imprese capaci di raggiungere contemporaneamente obiettivi su entrambi i fronti, digitale ed ecologico. Un meccanismo volto a incentivare i progetti di “twin transition” più virtuosi, dove la digitalizzazione diventa fattore abilitante per la sostenibilità e viceversa.
Si tratterebbe di una impostazione che consentirebbe di modulare il sostegno pubblico in base all’impatto e all’ambizione dei progetti, favorirebbe una programmazione degli investimenti e permetterebbe all’Italia di fare passi avanti sui temi della sovranità tecnologica e della resilienza energetica, che sono ormai da considerare le nuove frontiere della competitività.
La vera sfida per il Governo a questo punto sarà individuare delle risorse adeguate allo scopo che permettano di rendere l’incentivo interessante per le imprese e – vale la pena sottilinearlo – predisporre una normativa chiara ed esecutiva sin dal principio.
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