Dall’appello degli economisti al paradigma dell’economia sferica, la trasformazione è già cominciata. C’è un’Italia che prova a tracciare una nuova rotta, dove la transizione digitale non è solo efficienza e tecnologia, ma leva per ripensare sviluppo, giustizia sociale, centralità della persona e sostenibilità ambientale. Un’Italia fatta di ricercatori, innovatori, amministratori e imprese che hanno compreso che l’attuale modello economico, ancorato al PIL e al profitto immediato, non è più in grado di garantire il futuro.
Ripensare l’economia come responsabilità collettiva
Viviamo un tempo paradossale, dove mai come oggi l’innovazione tecnologica è apparsa così potente, eppure la nostra capacità di immaginare un futuro condiviso sembra essersi indebolita. In un mondo che parla continuamente di transizione (digitale, ecologica, energetica) rischiamo di confondere il cambiamento con l’adattamento, e l’adeguamento con il progresso. Ma ogni transizione, per essere davvero tale, richiede una direzione. Serve una bussola.
Ed è proprio questa la sfida che abbiamo di fronte: ridefinire non solo come cambiare, ma verso cosa orientare il cambiamento. In questo scenario, ripensare l’economia è un atto necessario di responsabilità collettiva, di innovazione etica e visione sostenibile per l’umanità.
La nuova economia come motore di benessere e impatto
Il Primo Rapporto sulla Nuova Economia in Italia (Next, 2024) evidenzia con chiarezza che l’economia orientata alla relazione e all’impatto non solo produce valore sociale e ambientale, ma rappresenta un fattore chiave per la felicità delle persone. I dati mostrano che chi partecipa attivamente a modelli economici fondati su consapevolezza, fiducia, sostenibilità e impatto – in altre parole, chi incarna i principi della Nuova Economia – sperimenta livelli significativamente più alti di benessere soggettivo.
L’indice aggregato del Rapporto, costruito su cinque dimensioni (conoscenza degli strumenti ESG, fiducia nelle imprese responsabili, disponibilità a pagare per prodotti sostenibili, qualità dell’informazione ricevuta e consapevolezza dell’impatto delle proprie scelte), rivela che chi si posiziona nella fascia alta registra una soddisfazione media di vita pari a 7,61 su 10, contro un 6,92 di chi si colloca nella fascia bassa.
Non si tratta di un semplice effetto psicologico, ma di un fenomeno strutturale che attraversa ambiti fondamentali dell’esistenza: chi aderisce ai principi della Nuova Economia dichiara relazioni familiari e sociali più gratificanti, maggiore appagamento lavorativo, più fiducia negli altri e una gioia più profonda per il miglioramento collettivo.
La vera innovazione, suggerisce il Rapporto, è che la felicità non è un effetto collaterale, ma un esito diretto della partecipazione a un’economia che mette al centro la dignità umana, la responsabilità condivisa e la rigenerazione dei legami. In questo senso, la Nuova Economia si configura non solo come un modello sostenibile, ma come una palestra di felicità civica, capace di allineare gli interessi individuali e collettivi, l’etica e il benessere, il presente e il futuro. Da questa consapevolezza nasce l’esigenza di una rifondazione culturale del pensiero economico. Non si tratta solo di correggere gli eccessi del passato, ma di riscrivere le finalità stesse dell’economia.
Il Manifesto per un’economia oltre la crisi: 5 direttrici per la trasformazione
Il Manifesto degli Economisti, intitolato “La nuova economia che vogliamo (e che sta crescendo e diffondendosi) e la salvezza della nostra civiltà, firmato da oltre cento economisti italiani, rappresenta un appello corale per ripensare radicalmente i concetti di valore, benessere e progresso, in risposta alle sfide del nostro tempo: crisi ambientali, pandemiche, sociali e geopolitiche. Non si tratta solo di un documento teorico, ma di un invito urgente a riformulare i fondamenti stessi della disciplina economica, affinché possa contribuire concretamente alla salvaguardia della civiltà umana all’interno dei limiti del pianeta. Il manifesto individua cinque direttrici fondamentali per questa trasformazione.
Superare l’homo oeconomicus
La prima svolta è antropologica. I modelli tradizionali si fondano su un individuo ridotto a massimizzatore di utilità il cui argomento principale, se non unico, è consumare più beni con più dotazioni monetarie. Occorre riconoscere invece una “superiore razionalità sociale” che può mettere in moto cooperazione e superadditività. Ciò tanto più se, seguendo le neuroscienze, si riconosce che le emozioni possono configurare una soggettività sovra-individuale che si aggiunge, complementa e arricchisce quella puramente individuale.
Superare l’impresa shareholder-only
La seconda è l’abbandono dell’idea di impresa orientata esclusivamente agli interessi degli azionisti (shareholder-only), a favore di una pluralità di forme imprenditoriali – come cooperative, B-Corp, imprese sociali – che perseguono finalità plurime e impatto positivo. La ricchezza di preferenze e motivazioni, che vanno oltre il profitto, trova una gabbia concettuale avvilente nell’idea che il lavoro non possa essere passione e realizzazione, ma solo fatica strumentale ad ottenere un reddito che ci consente di essere felici consumando nel tempo libero. Tutto ciò necessita vari sistemi di governance a regolare diversamente i rapporti d’interesse tra gli stakeholder, in una pluralità di forme d’impresa (cooperative di consumo, di produzione, bancarie, di reinserimento lavoro, sociali, di comunità, B-corp, imprese benefit) e in una generazione di imprenditori che agogna l’impatto oltre il profitto.
Superare il PIL come bussola unica
Il manifesto critica la centralità del PIL come unico indicatore di progresso, proponendo l’adozione di metriche multidimensionali per coniugare la creazione di valore economico con gli altri pilastri decisivi del futuro e della nostra felicità come sostenibilità ambientale (in ottica circolare), qualità e dignità del lavoro, valore delle relazioni e della generatività per abbattere gli ostacoli alla fioritura della vita.
Superare lo iato Stato-individuo con la sussidiarietà
Il quarto elemento è istituzionale. Affidarsi solo a un pianificatore centrale, o delegare tutto al mercato, non basta: serve una “sussidiarietà generativa” che attivi cittadini consapevoli e imprese responsabili. Perciò bisogna riconoscere che è cruciale per risolvere i fallimenti di mercato il coinvolgimento di cittadini consapevoli ed imprese responsabili che, in linea con il principio di generatività, capiscono che aumentare l’impatto sociale ed ambientale delle proprie scelte è il sentiero che porta alla soddisfazione e pienezza di senso di vita. Oggi nel valutare una scelta di policy se ne deve misurare non solo l’impatto preciso ma anche quanto essa impatta su partecipazione, cittadinanza attiva e capitale sociale e civico.
Superare i silos disciplinari con l’interdisciplinarità e l’impegno civile
Ultima svolta: il ruolo del ricercatore. Gli economisti sono chiamati a intrecciare didattica, ricerca e terza missione, lavorando con altre scienze per orientare l’innovazione verso il bene comune. L’invito in questo caso è di appassionarsi e lavorare insieme su questi filoni su cui si gioca il futuro e il destino (oltre che la reputazione della disciplina) alla ricerca di nuovi circoli virtuosi per dare risposta alle questioni pressanti ed urgenti che mettono a rischio la sopravvivenza della specie umana sul pianeta
Il Manifesto invita quindi economisti, decisori e cittadini a un lavoro corale: ridefinire modelli, metriche e istituzioni perché – citando gli autori – «l’umanità è a un bivio» e la disciplina economica può (e deve) rendere possibile la scelta giusta.
Manifesto degli studi del Management: per un nuovo Umanesimo
Parallelamente al mondo dell’economia, anche la comunità degli studiosi italiani di management ha sentito di ripensare il proprio ruolo. Il Manifesto degli Studi di Management, promosso di recente dalla Società Italiana di Management, nasce dall’urgenza di ripensare profondamente l’identità e la funzione della disciplina in un’epoca segnata da discontinuità sistemiche, volatilità e complessità crescente. Il documento individua quattro direttrici fondamentali che delineano una proposta di rinnovamento culturale, metodologico e sociale della ricerca e dell’insegnamento manageriale.
In primo luogo, si richiama la necessità di un impatto più diretto e significativo su imprese, istituzioni e società, promuovendo la co-progettazione delle ricerche con manager, imprenditori e policy maker, adottando approcci orientati al futuro e migliorando la disseminazione attraverso linguaggi e canali accessibili anche ai non addetti ai lavori. Si auspica un ruolo più attivo della comunità accademica nella generazione di conoscenza utile, trasformativa e tempestiva.
In secondo luogo, il Manifesto sottolinea l’esigenza di adottare approcci metodologici capaci di cogliere la complessità dei fenomeni contemporanei. Viene incoraggiata l’integrazione intra- e interdisciplinare, il ricorso alle potenzialità offerte da tecnologie come AI, ML e Big Data, e l’uso di approcci multi-metodo e multi-livello per leggere i contesti ad alta dinamicità e costruire teorie più aderenti alla realtà. Terza direttrice è la ridefinizione dell’agenda di ricerca. Essa deve superare il tradizionale trade-off tra profitto e purpose, riconoscendo l’interdipendenza tra performance economica e impatto sociale. Il Manifesto invoca un “nuovo umanesimo del management”, in cui la tecnologia sia alleata della creatività, dell’empatia e della responsabilità sociale. Infine, il documento si conclude con una chiamata etica alla responsabilità collettiva. Il Manifesto rappresenta dunque un appello all’intera comunità accademica per rifondare il management come scienza sociale al servizio di un’economia più giusta, inclusiva e consapevole.
Economia generativa e coesione sociale
Ma cosa significa, concretamente, ripensare l’economia?
Significa spostare lo sguardo: dall’accumulazione alla rigenerazione, dalla competizione alla cooperazione, dalla massimizzazione del profitto alla moltiplicazione del valore condiviso.
È in questo cambio di prospettiva che prende forma l’economia generativa. Secondo Mauro Magatti, sociologo ed economista dell’Università Cattolica di Milano, ciò che oggi è realmente in gioco non è soltanto l’efficienza dei mercati o la capacità di adattamento tecnologico, bensì la possibilità di costruire nuove forme di convivenza e coesione, capaci di ricucire un tessuto sociale progressivamente logorato. In questa direzione, il paradigma della generatività sociale rappresenta, nella visione di Magatti, una prospettiva promettente per uscire dalle logiche frammentarie e autoreferenziali del modello di sviluppo dominante.
La generatività sociale si configura come un processo dinamico, aperto al contesto e al tempo, che mira a superare la visione dell’individuo come mero consumatore. L’essere umano viene così riscoperto nella sua capacità di generare valore per altri, non in senso morale, ma come modalità concreta di espressione della propria libertà. Generare, in questa prospettiva, significa avviare qualcosa di nuovo, prendersene cura con responsabilità e, infine, saperlo lasciare andare affinché possa crescere ed evolversi autonomamente. È un pensiero circolare, ben rappresentato dalla figura della spirale, in cui ogni fase è essenziale alla costruzione di un benessere condiviso.
Magatti insiste sull’importanza della cultura come “polmone” vitale della società, in grado di nutrire le persone, le organizzazioni e i territori. Senza questo respiro culturale, la tecnica rischia di degenerare in tecnicismo, svuotando di senso l’azione collettiva e desertificando il paesaggio umano.
Il paradigma della generatività, elaborato nell’ambito dell’ARC – Centre for the Anthropology of Religion and Cultural Change – si propone non soltanto come una cornice interpretativa, ma come una prassi che già trova espressione in numerose esperienze concrete. In particolare, il Rapporto Italia Generativa 2024 analizza i tratti di un’economia che si va ridefinendo attraverso pratiche imprenditoriali orientate non più alla massimizzazione isolata del profitto, bensì alla produzione di valore plurale – economico, sociale, ambientale e culturale – all’interno di strategie capaci di guardare al medio e lungo periodo.
A questo proposito, emerge con particolare rilievo la nozione di “impresa neghentropica”, utilizzata per descrivere quelle realtà imprenditoriali che, consapevoli delle dinamiche entropiche prodotte dal sistema economico tradizionale, si impegnano in percorsi di crescita orientati alla riduzione della frammentazione e della disgregazione sociale e ambientale. Si tratta di imprese che adottano politiche organizzative evolute, valorizzano la biodiversità imprenditoriale e coltivano relazioni autentiche con il proprio ecosistema sociale e naturale. Le testimonianze raccolte indicano che non si tratta di risposte estemporanee a contingenze esterne, bensì di strategie deliberate, spesso radicate nella cultura d’impresa e nella tradizione territoriale, capaci di generare innovazione e resilienza.
Economia sferica: un nuovo archetipo sistemico
L’Economia Sferica non si propone come un passo ulteriore, ma come il passo necessario e decisivo per evolvere il paradigma economico ed entrare in una nuova epoca della civiltà. L’Economia Sferica rompe la dicotomia tra lineare e circolare, tra efficienza e significato, e si fonda sull’assunzione della Sfera come archetipo di equilibrio, totalità e coerenza sistemica. La Sfera infatti è la forma perfetta, equidistante dal centro in ogni punto, simbolo universale di interconnessione, coesistenza e risonanza. Da qui nasce il principio guida del nuovo modello: “generare valore rigenerando relazioni tra persone, organizzazioni, ambiente e istituzioni”. Ogni elemento del sistema è in relazione con gli altri, e nessuna parte è gerarchicamente dominante: l’armonia sostituisce la competizione, la risonanza sostituisce l’estrazione.
Questa visione è già realtà in modelli organizzativi emergenti. Le Grateful Organization sono imprese che perseguono non solo efficienza e profitto, ma anche senso, cura e relazioni autentiche con il proprio ecosistema. I Grateful Brand non si limitano a vendere prodotti, ma promuovono una cultura valoriale basata su impatto positivo, coerenza e gratitudine diffusa.
La strategia si fonda sul modello delle 9P, una nuova grammatica del management e della leadership. Otto parole-chiave delineano la dimensione esterna e interna della persona (Outer Person e Inner Person), il valore delle relazioni (People, Partnership), la sostenibilità economica e ambientale (Profit, Prosperity, Planet), la dimensione sociale (Peace). La nona P è il Purpose, il Proposito, inteso come direzione evolutiva e senso condiviso.
Centrale è anche il concetto di Humanovability, ovvero la capacità di integrare innovazione, sostenibilità e sviluppo umano, mantenendo un equilibrio dinamico tra tecnologia, consapevolezza e spirito.
L’Economia Sferica segna così il passaggio da una società “smart” a una società “wise”: non basta essere “intelligenti” o “performanti”. Serve diventare “saggi”, orientando la conoscenza al bene comune attraverso un’etica della responsabilità.
La Grateful Foundation: catalizzatore dell’economia sferica
La Grateful Foundation nasce per promuovere una nuova civiltà economica fondata sull’interconnessione, l’umanesimo rigenerativo e la responsabilità della specie apice: l’essere umano. In un mondo dove i modelli lineari e circolari si sono rivelati insufficienti, la Fondazione propone un salto evolutivo attraverso il paradigma dell’Economia Sferica®, che integra tre direttrici fondamentali: innovazione, sostenibilità e centralità umana (Humanovability®). Attraverso strumenti operativi concreti come il Grateful Balance®, la certificazione Grateful Brand®, la Grateful Foundation accompagna imprese e istituzioni in un percorso di trasformazione sferica, per generare valore sistemico e gratitudine percepita. La Fondazione è anche promotrice del Wise Hub, un polo di riferimento per la ricerca, la formazione, l’incubazione e la certificazione di organizzazioni rigenerative, in collaborazione con università, governi e attori dell’ecosistema economico globale.
L’utopia reale come visione trasformativa
In un tempo in cui la parola “transizione” è ovunque, ma raramente si accompagna a una riflessione profonda su quale società vogliamo costruire, diventa essenziale un nuovo slancio collettivo capace di unire visione e concretezza. Non è più sufficiente adattarsi gradualmente ai cambiamenti o inseguire indicatori economici ormai inadatti a misurare il benessere reale. Serve il coraggio di immaginare futuri radicalmente alternativi.
Proprio in questa direzione si muove il concetto di utopia reale, che non è un’astrazione né una fuga dal presente, ma una prospettiva critica e trasformativa. L’utopia reale propone alternative praticabili e desiderabili, capaci di sfidare l’esistente senza cadere nell’irrealismo. Ripensare l’economia attraverso questa lente significa promuovere contaminazioni fertili tra mondi diversi: sapere tecnico e visione umanistica, innovazione digitale e giustizia sociale, impresa e cittadinanza attiva. È in queste connessioni che può nascere un nuovo paradigma, fondato su relazioni, cura e benessere condiviso. Un cambio di passo che ci invita a riconsiderare il significato stesso di valore, progresso e futuro.
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