Le lacrime dei costruttori. L’estate sta finendo, i soldi del Pnrr pure


Il settore delle costruzioni è un crocevia strategico per comprendere lo stato dell’economia e della politica italiana. Nel 2023 pesava 99,3 miliardi di euro, ovvero il 5,3% del Pil; ma se si considerano anche gli effetti indiretti e indotti, il comparto vale addirittura il 10,5% del Pil. Non parliamo del contributo occupazionale: la filiera delle costruzioni impiega 1,78 milioni di persone, il 6,8% dell’occupazione nazionale, ma si arriva al 12% per 3,1 milioni di addetti con l’indotto e gli altri comparti connessi (edilizia, impiantistica, servizi, ingegneria).

Il sistema nazionale delle costruzioni sta attraversando una profonda riconfigurazione che sta ridisegnando gli equilibri dell’intera economia italiana. Le concentrazioni e le fusioni hanno dato vita a giganti: alcuni veramente tali, altri con i piedi di argilla. Grandi colossi del settore stanno posizionandosi in altri comparti, come il gruppo Caltagirone, mentre in altri casi aziende con grande tradizione o grandi dimensioni attraversano fasi di grande difficoltà economica. E’ il caso del gruppo Pizzarotti, che a fronte alla possibilità di una liquidazione a causa di un forte indebitamento – si parla di 1,8 miliardi di euro – sembra essere in procinto di essere salvato solo grazie a un “aiuto” da parte di Ferrovie.

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Ma facciamo un passo indietro, e parliamo di chi sta andando benone: Caltagirone.

L’espansione nel settore finanziario di Caltagirone è un vero e proprio cambiamento di paradigma. Il gruppo è diventato un attore rilevante negli investimenti finanziari italiani. Da impresa costruttrice e immobiliare, ha orientato una parte crescente del suo valore verso i mercati e le partecipazioni strategiche, quelle roccaforti che condizionano i destini del Paese.

FGC (Finanziaria Gaetano Caltagirone), la cassaforte controllata dalla famiglia, ha registrato nel 2022 un utile netto consolidato di 423 milioni, rispetto ai 310 del 2021. Anche gli asset finanziari sono cresciuti, generando flussi da cedole per 190 milioni solo nel 2022. Nel 2025 il gruppo è partito all’assalto per acquisire il controllo, con una sola mossa, di Generali e Mediobanca, le due chiavi strategiche per stare nella plancia di comando dell’economia italiana, con il beneplacito e il sostegno del governo Meloni.

Per altri il futuro è un po’ meno sicuro. È il caso di WeBuild, il gruppo multinazionale delle infrastrutture nato nel 2014 dalla fusione di Salini e Impregilo. WeBuild ha operato una poderosa concentrazione e ha generato numeri record nel 2024 con risultati straordinari: ricavi di 12 miliardi di euro, +20% rispetto al 2023; EBITDA a 967 milioni di euro, +18%; utile netto di 247 milioni di euro; cassa netta positiva pari a 1.445 milioni di euro. Per il 2025 l’azienda prevede ricavi superiori a 12,5 miliardi, un EBITDA di 1,1 miliardi e una cassa netta di più di 700 milioni.

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Il guaio è che questi risultati dipendono dalla grande spesa pubblica in infrastrutture, alimentata dalle risorse derivanti dal Pnrr. Ahimè, stiamo ormai arrivando alla coda di questo programma. Però, per Webuild c’è un paracadute: il Ponte. L’azienda è riuscita ad assicurarsi e a blindare la commessa del Ponte sullo Stretto, con la interessante clausola rescissoria che prevede un forte indennizzo se lo Stato decidesse di non completare l’opera.

Diverso è il caso di Pizzarotti, storica impresa parmigiana fondata nel 1910. Pizzarotti è più piccola di WeBuild, ma ha una base solida da un punto di vista industriale, una struttura internazionale consolidata, 3.000 dipendenti e una buona gestione dei suoi settori chiave (infrastrutture, edilizia, energia, idraulica, aeroporti). Il gruppo Pizzarotti ha però accumulato circa 1,8 miliardi di debiti, che a fatica cerca di rinegoziare, e ha avuto difficoltà di liquidità. Il gruppo è entrato in una procedura di composizione negoziata “in bonis”, un percorso per garantire la continuità industriale, risanare i conti e rinegoziare i debiti. Nonostante le difficoltà, il 2024 si è chiuso con un fatturato di circa 1,5 miliardi di euro e un EBITDA attorno a 120 milioni (circa il 9% del fatturato), segni di operatività ancora valida. Ma il margine operativo lordo di Pizzarotti non è sufficiente per coprire i debiti, nonostante gli interessi siano stati regolarmente pagati.

Le banche (incluse Sace e CDP) sostengono la procedura negoziata, ma secondo anticipazioni di stampa hanno chiesto modifiche alla governance. Sempre secondo i giornali, un contributo arriverebbe dal gruppo Ferrovie dello Stato, che starebbe accelerando nell’acquisto del ramo d’azienda delle attività ferroviarie di Pizzarotti, nell’ambito della procedura di Composizione negoziata della crisi (Cnc). La holding pubblica Fs avrebbe presentato un’offerta non vincolante e condizionata alla due diligence per rilevare un perimetro di attività concernenti la produzione di elementi di armamento, come le traverse ferroviarie, grazie alla sua divisione Prefabbricati e alla controllata Traversud. Una vera e propria operazione di salvataggio.

Non c’è dubbio che Ferrovie dello Stato stia giocando un ruolo crescente nella riconfigurazione del mercato delle costruzioni e delle infrastrutture. Inoltre, le Ferrovie hanno storicamente sempre svolto un ruolo da “regista” del sistema, che più di recente si è rafforzato grazie alle cospicue risorse destinate agli investimenti nella rete ferroviaria. E anche per le nuove funzioni strategiche che Fs hanno ricompreso nel loro perimetro.

Qualche esempio? Fs Sistemi Urbani, braccio immobiliare del gruppo, sviluppa progetti di riqualificazione urbana di aree ferroviarie dismesse. Si stimano investimenti fino a 10-15 miliardi l’anno fino al 2026. Parallelamente, attraverso Rfi il gruppo guida progetti infrastrutturali strategici legati al Pnrr: Torino–Lione, Genova–Milano, il Brennero, Milano–Verona–Venezia, Roma–Ancona, Pescara–Bari, Palermo–Catania–Messina. Recentemente, poi, Fs ha creato un nuovo “Integrated Project Team – Integrazione Verticale Costruzioni” (IPT), con l’obiettivo di valutare operazioni di acquisizione nel settore delle costruzioni infrastrutturali. Tra i potenziali target individuati nell’analisi strategica per eventuali acquisizioni figurano proprio Pizzarotti e Rizzani de Eccher, entrambi considerati “gioielli italiani” protagonisti nel comparto delle opere civili globali.

Oggi il settore delle costruzioni cambia per la riconversione verso la finanza, per le robuste commesse nazionali del Pnrr, per l’intervento di salvataggio di qualche gioiello in difficoltà da parte di Ferrovie. Ma i rischi e le incognite non mancano. Il volano del Pnrr sta per giungere al termine: dopo un ciclo di robusti investimenti pubblici verranno anni di flessione, che non aiuteranno le prospettive del settore, soprattutto per quelle realtà che sono dipendenti dalle commesse pubbliche. E i salvataggi di aziende in difficoltà grazie al soccorso di imprese pubbliche ricordano stagioni non particolarmente virtuose, o propizie di futuri successi.

Le Ferrovie Italiane rischiano di diventare un conglomerato privo di identità strategica. Di curvarsi su missioni estranee alle loro competenze identitarie. Di non concentrarsi sulla loro vocazione, cioè creare valore nel mercato della mobilità. Non è stato un anno particolarmente generoso di successi sui fondamentali ferroviari. Pare piuttosto arduo recuperare virtù diventando operatore delle costruzioni.



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