Relazioni nella PA: l’infrastruttura nascosta dell’innovazione


Le relazioni nella pubblica amministrazione rappresentano un’infrastruttura abilitante spesso invisibile ma determinante per il successo dei processi di innovazione. In un contesto caratterizzato da complessità e interdipendenza, la capacità di costruire connessioni tra persone, enti e territori si rivela decisiva per rendere efficaci strategie e strumenti tecnologici.

Le relazioni come fondamento della PA aumentata

Nona a caso, il tema della “PA Aumentata”, scelto per il Forum PA 2025, ha avuto il merito di riportare al centro tre pilastri imprescindibili per la trasformazione del settore pubblico: persone, tecnologie e relazioni. Dopo aver esplorato il ruolo strategico delle persone e la spinta innovativa delle tecnologie, è ora il momento di soffermarci su un elemento tanto intangibile quanto decisivo: le relazioni. Perché sì, una Pubblica Amministrazione può dotarsi delle migliori competenze e delle infrastrutture più evolute, ma senza una rete di relazioni solide, aperte e generative, l’innovazione rischia di restare isolata, episodica, inefficace.

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Il riuso come leva relazionale e strategica

In un’Italia frammentata, con quasi ottomila Comuni spesso chiamati ad affrontare le stesse sfide – digitalizzazione dei servizi, gestione dei fondi PNRR, semplificazione amministrativa – la cooperazione tra enti non è più un’opzione, è una necessità strategica. Ed è qui che il concetto di “riuso” assume un ruolo cruciale. Troppo spesso sottoutilizzato, il riuso di soluzioni già sperimentate da altre amministrazioni rappresenta una via intelligente per risparmiare risorse, evitare duplicazioni, accelerare l’attuazione dei progetti. Non si tratta di copiare in modo acritico, ma di adattare e valorizzare ciò che già funziona, inserendolo nei propri contesti. È una forma di innovazione orizzontale, generata proprio dalla capacità di costruire relazioni tra chi opera sul campo.

Piattaforme condivise e fiducia tra amministrazioni

Proprio durante il Forum PA 2025, l’Agenzia per l’Italia Digitale ha rilanciato il Catalogo delle soluzioni riusabili, oggi integrato con la nuova piattaforma Designers Italia 2.0. Il Comune di Cuneo, ad esempio, ha raccontato come l’adozione di componenti standard per la progettazione dei servizi digitali – progettati inizialmente da altre amministrazioni – abbia permesso una rapida pubblicazione dei servizi online integrati con SPID e pagoPA, con un risparmio di tempo e costi del 40%. Il vero punto di svolta risiede nel fattore umano: la fiducia tra amministrazioni, la disponibilità a condividere, la volontà di apprendere reciprocamente. Relazioni tra pari, non formalismi.

Ascolto e dialogo tra centro e territori

Un altro asse fondamentale è quello delle relazioni tra PA centrali e PA locali. In assenza di canali di ascolto strutturati e continui, il rischio è quello di normative astratte, calate dall’alto, poco aderenti ai bisogni reali dei territori. Al contrario, una PA aumentata è una PA che ascolta e dialoga, che valorizza le esperienze locali e le trasforma in conoscenza collettiva. Percorsi come i tavoli territoriali del PNRR, i laboratori di co-progettazione promossi da Regioni e Comuni, le consultazioni pubbliche digitali sono esempi concreti di come le relazioni centro-periferia possano diventare leva di efficacia e legittimazione dell’azione pubblica. In Emilia-Romagna, il programma “Data Valley Bene Comune”, co-progettato dalla Regione con enti locali, università e centri di ricerca, ha mostrato come la condivisione strategica di dati e risorse tra livelli istituzionali possa produrre impatti misurabili sui servizi a cittadini e imprese, ad esempio nella gestione predittiva dei trasporti o nella prevenzione ambientale.

Relazioni pubblico-private e co-innovazione

Le relazioni aumentate coinvolgono anche un altro attore spesso vissuto come “esterno” ma in realtà decisivo: il mondo dei fornitori. Ancora oggi, troppi rapporti tra PA e imprese sono basati su logiche prestazionali, in cui il fornitore è percepito come semplice esecutore. In una prospettiva di PA aumentata, è invece fondamentale promuovere partnership pubblico-private fondate su obiettivi comuni, responsabilità condivise, co-innovazione. Non si tratta solo di stipulare contratti, ma di costruire alleanze in grado di generare valore per i cittadini.

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L’esperienza del progetto “Torino City Lab” dimostra con chiarezza questa visione: la città ha attivato un ecosistema di sperimentazione urbana che coinvolge imprese, PA, università e cittadini per testare in situ tecnologie emergenti come droni, veicoli autonomi, sensori ambientali. È una modalità concreta per passare da un approccio transazionale a uno collaborativo, dove l’innovazione nasce nel dialogo e si misura con i bisogni reali della città.

Ecosistemi territoriali e innovazione partecipata

Accanto a queste connessioni istituzionali e contrattuali, un ruolo sempre più strategico lo giocano gli ecosistemi territoriali dell’innovazione. Dove la PA sa mettersi in ascolto e dialogo con università, imprese sociali, enti del terzo settore, start-up civiche, si generano soluzioni ibride e partecipate, capaci di affrontare le sfide complesse della contemporaneità. A Bologna, ad esempio, l’iniziativa “Laboratorio Aperto” ospita percorsi di co-design dei servizi con cittadini e stakeholder locali, promuovendo una PA che non solo eroga, ma costruisce “con”, promuovendo una PA protagonista di tutte le fasi, dall’erogazione, all’ascolto fino alla costruzione partecipata.

Reti professionali e comunità di pratica nella PA

In queste reti si sperimentano forme nuove di co-progettazione, si costruisce fiducia reciproca, si produce innovazione “di prossimità”, ancorata ai bisogni concreti delle comunità. Non meno importanti sono le relazioni interne al mondo pubblico: reti professionali, comunità di pratica, gruppi di lavoro inter-istituzionali che, spesso in modo informale, contribuiscono alla diffusione di buone pratiche e alla crescita collettiva della PA. Sono spazi di apprendimento e confronto che rompono l’isolamento organizzativo, favoriscono la contaminazione e aiutano a superare resistenze e rigidità. Non è un caso, ad esempio, che un contributo rilevante al raggiungimento degli obiettivi della digitalizzazione della PA previsti dalla missione 1 del PNRR – ad oggi raggiunti – sia stato quello del Transformation Office del Dipartimento della Trasformazione digitale: 200 professionisti sul territorio che accompagnano enti locali e amministrazioni centrali nel candidarsi per ottenere i finanziamenti disponibili e implementare le attività previste, sostenendo il personale degli enti nella sfida fondamentale della trasformazione digitale.

Non solo relazioni di valore con ogni singolo ente: l’attenzione e il dialogo con il mondo delle rappresentanze ha portato il Dipartimento a stipulare accordi importanti con ANCI, UNCEM, UPI, la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome: terreni di confronto utilissimi non solo per raggiungere i target e le milestone previste dall’Europa ma anche per progettare il futuro delle politiche sul digitale in modo condiviso.

Fare sistema per una PA relazionale e aperta

Fare sistema, costruire alleanze, connettere energie: la PA Aumentata è quindi, prima di tutto, una PA “relazionale”, che non lavora per silos ma per connessioni, che non teme di apprendere dagli altri, che si mette in discussione per migliorare.
Certo, non è un percorso semplice. Richiede tempo, fiducia, apertura mentale.
Ma gli esempi virtuosi non mancano. Dimostrano che questa visione non è un’utopia, ma una realtà possibile, già in cammino. Servono politiche che la incentivino, strumenti che la abilitino, una cultura che la riconosca come leva strategica.
Perché nessuna amministrazione può innovare da sola. E perché, in un mondo sempre più complesso, non c’è miglioramento senza relazioni.



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