«L’Italia non chiede proroghe al Pnrr. Nella revisione focus sulla produttività»


Insistere «per ottenere una proroga del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza? Il rischio è che si alimenti un illusorio dibattito, che finisca per essere un deterrente alla sua attuazione e mandi tutti fuori strada», spiega il ministro per gli Affari europei e il Pnrr, Tommaso Foti. Nel frattempo lavora alla nuova revisione del Piano adeguandolo agli spazi concessi dalla Commissione Ue e con l’idea di indirizzare le risorse verso progetti che possano avere «un riscontro di natura produttiva».

Ministro Foti, quanto prevedere l’arrivo della settima rata?

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Attendiamo la valutazione positiva della Commissione europea, questione di giorni. La rata sarà poi liquidata entro fine luglio o i primi di agosto. Parliamo di 18,3 miliardi di euro, in relazione al raggiungimento di 35 milestone e 32 target. Tra questi, riforme strategiche come la riduzione dei tempi di pagamento della Pa, la revisione del servizio pubblico universale e investimenti come il Tyrrhenian-Link, indispensabile per rafforzare l’autonomia energetica dell’Italia. A questo punto l’Italia avrà ottenuto in totale 140 miliardi, il 72% di quanto spetta al Paese.

Sui traguardi per l’ottava rata tutto procede come previsto?

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L’ultima cabina di regia è servita proprio a verificare questo. Gli obiettivi sono stati tutti raggiunti Tra questi vorrei citare i 1.400 chilometri di rete ferroviaria dotati del nuovo sistema di gestione del traffico e il 90% della superficie delle Regioni meridionali coperte da sistemi di monitoraggio sul rischio idrogeologico. Questa rata vale 12,8 miliardi. Una volta ottenuta saremo a 152 miliardi, il 79% della dotazione del piano.

Una risposta a chi dice che il Paese è indietro?

Già oggi siamo di fatto al 72%. La media europea è del 48% siamo quindi 24 punti sopra. Anche rispetto ai target e alle milestone siamo al 54%, contro una media europea del 37%.

E per quanto riguarda la spesa?

Il dato reale è influenzato dai tempi della rendicontazione. Possiamo comunque stimare che attualmente non siamo lontani da una spesa di 80 miliardi di euro.

Entro luglio dovrebbe anche arrivare la nuova revisione del Piano. Quali saranno le direttrici?

Nella prima settimana di luglio avremo a Roma i tecnici della Commissione. Dobbiamo capire con loro quali interventi saranno possibili alla luce delle nuove comunicazioni e dei nuovi indirizzi dell’esecutivo europeo. Le nostre scelte sono su modifiche che possano avere un riscontro di natura industriale e produttiva. Prima di inviare la proposta a Bruxelles ci sarà in ogni caso una consultazione con le forze politiche e sindacali e un passaggio in Parlamento.

Si è parlato di correttivi agli incentivi di Transizione 5.0 e della creazione di fondi per far vivere le risorse oltre la data del 2026. Ci saranno?

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Siamo interessati a reindirizzare risorse non ancora utilizzate verso strumenti per sostenere sia gli investimenti materiali, sia, in generale, l’economia; fermo restando comunque che la nostra economia è solida come confermato dai dati Istat sull’occupazione che registrano un nuovo record nel primo trimestre dell’anno e lo spread sotto quota 90 punti base.

Il Parlamento europeo chiede una proroga per progetti prossimi al completamento che tuttavia possono andare oltre il 2026. È possibile?

Per quanto mi pare di aver colto, la Commissione ritiene che il Piano vada chiuso entro il 30 agosto 2026. Andrebbe inoltre chiarito meglio cosa si intende per progetti maturi. Sono dell’idea che continuare a parlare di proroga ci possa portare fuori strada rispetto all’attuazione negli spazi temporali previsti.

Parlando di scadenze, dal 2028 la Ue dovrà iniziare a rimborsare i bond con cui ha finanziato il NextGenerationEu. C’è tuttavia il nodo delle risorse proprie necessarie per farlo, come potrà impattare sul bilancio Ue?

Il rimborso vorrà dire sterilizzare 18 o 20 miliardi l’anno fino al 2058, quindi avere meno risorse. Diventa complesso redigere il quadro finanziario pluriennale anche perché non c’è la disponibilità degli Stati ad aumentare la contribuzione e iniziative sulla tassazione si scontrano contro la volontà di non aumentare l’imposizione su famiglie e imprese. Da parte nostra, ribadiamo che nel caso si vada verso una razionalizzazione dei fondi, devono essere salvaguardati e rimanere autonomi nella loro gestione la Coesione e le risorse per la Politica agricola comune.

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