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Sconti fino a 650 euro al mese per chi assume giovani e donne. Ma i bonus del governo, sbloccati solo ora, sono una giungla di vincoli, calcoli complessi e requisiti quasi impossibili, come il contestato obbligo di “incremento occupazionale netto”.

Sulla carta, è un’occasione d’oro per le imprese italiane. Con lo sblocco definitivo degli incentivi previsti dal “decreto Coesione”, i datori di lavoro hanno meno di sei mesi, fino a dicembre, per assumere giovani under 35 e donne “svantaggiate” beneficiando di un maxi-sconto sui contributi che può arrivare fino a 650 euro al mese per due anni. Un aiuto economico significativo, pensato per spingere l’occupazione stabile. Ma dietro la promessa di un generoso sostegno si nasconde un percorso a ostacoli, una giungla di vincoli, complessità burocratiche e trappole legali che rischiano di rendere il beneficio inaccessibile per molti e pericoloso per chi non presta la massima attenzione.

Le critiche dal mondo delle imprese e dei sindacati sono feroci: si tratta dell’ennesima misura “spot”, non strutturale, la cui complessità rischia di vanificarne l’efficacia.

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Il bonus e i suoi paletti, chi può davvero accedere agli sconti

Il pacchetto di incentivi, finanziato con fondi europei e nazionali per un totale di 5 miliardi, è allettante. Prevede uno sgravio contributivo mensile fino a 500 euro (che sale a 650 euro per le assunzioni nel Mezzogiorno) per chi assume a tempo indeterminato:

  • giovani under 35 che non abbiano mai avuto un contratto di lavoro a tempo indeterminato nella loro vita;
  • donne “svantaggiate” di qualsiasi età, definite come prive di un impiego retribuito da almeno sei mesi e residenti al Sud, o disoccupate da due anni ovunque residenti, o impiegate in settori ad alta disparità di genere.

Proprio il requisito per i giovani, quello di non aver mai firmato un contratto a tempo indeterminato, è il primo, enorme paletto. In un mercato del lavoro come quello italiano, caratterizzato da precarietà ma anche da brevi e frammentate esperienze di lavoro stabile, questo vincolo esclude una platea vastissima di giovani che magari hanno avuto un contratto a tempo indeterminato per pochi mesi in passato e che ora si trovano di nuovo in cerca di occupazione.

L’incubo dell”incremento occupazionale netto’, la trappola che spaventa le imprese

La vera trappola, però, si nasconde in un requisito tecnico richiesto dalla Commissione Europea per quasi tutti gli aiuti di Stato: l’incremento occupazionale netto. Per poter beneficiare dello sconto per una nuova assunzione, l’azienda deve dimostrare che quella assunzione ha effettivamente aumentato il numero totale dei suoi dipendenti, calcolato come media dei 12 mesi precedenti. Lo scopo è nobile: evitare che le aziende licenzino un lavoratore per assumerne un altro con lo sgravio. Ma la sua applicazione è un incubo burocratico.

A rendere la situazione ancora più caotica è stata una clamorosa marcia indietro dell’INPS. Inizialmente, la legge sembrava escludere questo obbligo per il bonus under 35. Ma con un messaggio del 18 giugno 2025, a seguito di un confronto con la Commissione Europea, l’Istituto ha stabilito che, a partire dal 1° luglio, anche questo incentivo è subordinato all’incremento netto. Si è così creata un’assurda disparità di trattamento basata solo sulla data di assunzione, gettando nel panico le aziende che stavano pianificando le loro strategie di recruiting sulla base delle regole precedenti. Questo requisito impone un monitoraggio mensile complesso (basato sulle Unità Lavorative Annue – ULA) e il rischio di dover restituire gli sgravi già fruiti se, nei mesi successivi, l’organico dovesse diminuire.

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La voce degli esperti, perché gli incentivi non bastano a curare il mercato del lavoro

Di fronte a questa complessità, il mondo delle imprese e dei sindacati è unanime nel definire l’approccio del Governo inefficace. Secondo Maurizio Marchesini, vicepresidente di Confindustria, l’Italia spende circa 42 miliardi all’anno in politiche incentivanti, ma queste non risolvono i problemi. “Sarebbero più efficaci interventi strutturali” afferma, sottolineando come si agisca sui sintomi e non sulle cause che bloccano l’accesso al lavoro per giovani e donne.

Anche i sindacati sono sulla stessa linea. Per Ivana Veronese della UIL, gli incentivi sono “troppo selettivi e non strutturali”, e la loro breve durata non permette alle imprese di programmare a lungo termine. Per Mattia Pirulli della CISL, il bonus under 35 è mal disegnato: non distingue tra un neolaureato conteso dal mercato e un giovane non qualificato che avrebbe davvero bisogno di sostegno. Manca, insomma, una visione d’insieme. Le risorse, pur ingenti, vengono polverizzate in bonus “spot”, complessi e temporanei, che non incidono sulle debolezze strutturali del nostro mercato del lavoro.

Un sistema inefficiente, il crollo delle assunzioni incentivate nel 2025

L’inefficacia di questo approccio “stop and go” è dimostrata dai dati. Nel primo trimestre del 2025, le assunzioni con incentivi contributivi sono crollate del 71% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Questo tracollo è dovuto alla fine della vecchia e più generosa “Decontribuzione Sud” e ai ritardi nell’attuazione dei nuovi bonus del decreto Coesione.

È la prova provata di come la politica degli incentivi a tempo determinato crei un mercato del lavoro “drogato” e instabile. Le aziende concentrano le assunzioni nei periodi in cui gli aiuti sono attivi e frenano bruscamente quando questi finiscono o quando c’è incertezza sulle regole, come accaduto nei primi mesi di quest’anno. Un’economia sana non può basarsi su fiammate occupazionali condizionate dal bonus di turno.



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