pane, carne e latte a rischio rincari


Roma, 23 giugno 2025 – Diventerà sicuramente più caro fare il pieno di benzina, potremmo avere qualche brutta sorpresa con le prossime bollette di luce e gas, aumenteranno le tariffe per i trasporti e, in prospettiva, anche il carrello della spesa potrebbe subire pesanti variazioni.

Insomma, la guerra in Iran rischia di costare cara alle famiglie e alle imprese italiane. E se, subito dopo l’avvio dei bombardamenti su Teheran, i mercati avevano retto il colpo nella speranza di una guerra lampo, l’intervento degli Usa complica ulteriormente la partita e potrebbe estendere l’area del conflitto.

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Uno scenario reso ancora più pesante dalla possibile chiusura dello Stretto di Hormuz, controllato dall’Iran, attraverso cui transita un terzo del petrolio mondiale e un quinto delle spedizioni globali di gas. Se lo stretto venisse chiuso, i prezzi potrebbero schizzare oltre i 100 dollari al barile. Attualmente, un barile di greggio è scambiato a oltre 75 dollari, mentre il Brent internazionale si aggira intorno ai 77 dollari. Il nostro Paese importa oltre il 75% del proprio fabbisogno energetico e dipende ancora largamente da petrolio e gas per far funzionare capannoni, catene logistiche e trasporti, il rincaro delle materie prime energetiche rappresenta un fattore dirompente, capace di impattare con forza crescente sui costi, sui margini e, a cascata, sui prezzi finali pagati dai consumatori.

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Allarme sui prezzi dell’energia

Il Centro studi di Unimpresa ha calcolato che si potrebbe arrivare a un rincaro medio del 20% delle materie prime energetiche rispetto allo scorso anno, con un costo aggiuntivo annuo che supererebbe i 10 miliardi di euro, il 60% del quale graverebbe proprio sulle Pmi. In particolare, le bollette energetiche delle piccole e medie imprese italiane potrebbero aumentare fino a 6mila euro nel solo terzo trimestre del 2025, a causa del rialzo dei prezzi del gas e del petrolio sui mercati internazionali. L’impatto complessivo sull’inflazione, se la crisi dovesse protrarsi per almeno tre mesi, è stimato in un incremento fino a +0,8 punti percentuali, con un ritorno del tasso annuo verso il 3%.

I settori più colpiti

A soffrire di più saranno, ovviamente, le imprese energivore, ma potrebbe essere l’intero sistema industriale italiano a risentirne, con la conseguente perdita di competitività e l’inevitabile scarico dei costi sui consumatori finali. Particolarmente colpiti i settori metallurgico, ceramico, alimentare, cartario e del vetro, ma anche la piccola manifattura e l’artigianato sono esposti a forti rincari. In parallelo, il carovita colpirà soprattutto beni di largo consumo come pasta, pane, latte e trasporti.

L’effetto sull’inflazione

Secondo le simulazioni del Centro studi di Unimpresa, un aumento strutturale di +10 euro/MWh sul gas e di +10 dollari al barile sul petrolio, se mantenuto per almeno tre mesi, può determinare un incremento dell’inflazione annua in Italia tra 0,4 e 0,8 punti percentuali. Considerando che l’inflazione core (al netto di energia e alimentari) viaggiava intorno all’1,7% a maggio 2025, l’aggiunta di questo nuovo elemento potrebbe riportare il tasso complessivo verso il 3% entro fine estate.

I prodotti a rischio rincari

I prodotti che potrebbero registrare i rincari maggiori saranno quelli a filiera corta ma energivora – pane, pasta, latte, carne – con aumenti stimati del 2-4% nel trimestre luglio-settembre, anche in assenza di tensioni sulle materie prime agricole. Ma l’effetto si farà sentire anche sui trasporti pubblici, sulla logistica privata, sul riscaldamento domestico e sulla manutenzione degli edifici. Particolarmente pesanti gli effetti anche per l’agroalimentare.



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