Nel carosello bancario le sagome si rincorrono, le ops si moltiplicano, le architetture si intrecciano, le Procure sembrano attivarsi. Eppure è difficile non notare come la spinta vera, quella del sistema Paese, venga da tutt’altra parte e rischi di rallentare per distrazione collettiva.
Le operazioni bancarie in corso sono, nella sostanza, scambi carta contro carta, senza iniezione di vera liquidità. Al più si tratta della costruzione di gruppi-matrioska, nei quali nuovi incastri restano possibili proprio perché di carta azionaria se ne può stampare ancora tanta.
Il cosiddetto risiko bancario assomiglia sempre più a un carillon a molla: parte con energia, gira su se stesso, poi rallenta, si osserva e si illude di muoversi ancora.
Il valore delle imprese italiane
In tutto questo ci si dimentica che la vera carica, la fonte di energia, resta nelle imprese italiane: quelle che generano utili, lavoro, occupazione, futuro. Quelle che, a differenza di molte operazioni finanziarie e bancarie, producono cassa vera e valore incrementale, non semplicemente estrattivo.
Alla fine, come sarà chiaro a tutti e senza che si debba essere grandi esperti di economia, sono loro, e non le banche, la vera forza propulsiva del sistema.
E proprio mentre il dibattito si concentra pervicacemente su strutture di governance, diritti di voto e concambi tra banche, alcune delle migliori imprese italiane vengono lasciate ai margini, trattate sui listini di borsa a multipli troppo contenuti rispetto ai fondamentali e ai loro concorrenti internazionali e dimenticate dai grandi capitali.
Il rischio? Ormai è ben noto. Passeranno di mano a prezzi di saldo, finendo a sostenere la redditività di consolidati non italiani. Con buona pace della sovranità economica, della competitività industriale e – soprattutto – della crescita. Forse è tempo di smettere di restare incantanti dal carillon, prima che si fermi del tutto. (riproduzione riservata)
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