Corte di Giustizia riconosce credito d’imposta per innovazione


Il credito d’imposta per ricerca e sviluppo, previsto dall’art. 3 del decreto-legge 145/2013, è riconosciuto anche quando i requisiti di creatività e novità derivano dall’analisi, rielaborazione, estrapolazione e riorganizzazione di contenuti scientifici già esistenti. “Il risultato di queste attività è considerato nuovo e originale, a condizione che venga impiegata una metodologia innovativa, come quella riconducibile all’intelligenza artificiale, utilizzata quando questa era ancora nelle sue fasi iniziali e sperimentale”. Questa è la conclusione a cui sono giunti i giudici della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia con la sentenza n. 883/2025, depositata il 4 aprile scorso.

Il fatto contestato dall’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate ha contestato a una società operante nel settore della consulenza per la trasformazione e l’innovazione digitale l’uso indebito del credito d’imposta per ricerca e sviluppo richiesto in relazione a un progetto denominato “Big Data as a Service“. Secondo l’Agenzia, l’attività di ricerca non avrebbe apportato un progresso significativo nel settore, mancando di originalità e creatività, limitandosi a una mera copiatura di contributi scientifici già esistenti. Di contro, la società ha sostenuto che l’attività di ricerca è di per sé incrementale, giustificando così il ricorso a fonti scientifiche già esistenti come base per l’ottenimento di contenuti innovativi successivi. I giudici di primo grado hanno accolto la tesi dell’Agenzia delle Entrate. La società ha proposto appello.

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Analisi della sentenza di secondo grado

Nella prima parte della sentenza di secondo grado, i giudici confermano preliminarmente che il requisito della novità è imprescindibile per l’ottenimento dell’agevolazione. Confermano anche che: (i) nello sviluppo di un software, la novità dipende da un progresso scientifico e/o tecnologico su base sistematica; (ii) il carattere innovativo deve essere valutato rispetto al settore di riferimento e non al miglioramento del livello tecnologico e scientifico ottenuto dall’impresa; (iii) il mancato raggiungimento dell’obiettivo della ricerca non compromette il carattere innovativo del progetto, essendo il rischio di fallimento un elemento intrinseco a un tentativo di ricerca in un ambito inesplorato.

Nel caso di specie, poi, i giudici riconoscono che la ricerca è stata condotta attraverso una ricognizione di fonti esistenti di diversa natura (accademica e non), ma il requisito della novità deve essere valutato in base alle modalità con cui i contenuti di tali fonti sono stati rielaborati, realizzando un’attività di ricerca molto simile a quella oggi rappresentata dall’intelligenza artificiale. Nel progetto “Big Data as a Service“, la società ha, in quel periodo (2015), esplorato ambiti nuovi, quali quelli dei Big Data e Cloud Computing. La Corte ha così riconosciuto che la società ha dimostrato il carattere innovativo della propria ricerca, evidenziando che la novità risiedeva nella selezione e combinazione di articoli, piuttosto che nei contenuti stessi, operando in un ambito scientifico, all’epoca dei fatti, nuovo e pieno di incertezze.

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In giudizio, la società ha presentato anche un parere tecnico redatto da un valutatore indipendente accreditato nell’albo istituito presso il MIMIT per la certificazione di cui all’art. 23 del decreto-legge 73/2022. Sebbene la certificazione non potesse essere considerata valida, in quanto rilasciata durante una contestazione già formalizzata, i giudici l’hanno comunque tenuta in considerazione, quale supporto alle conclusioni già raggiunte.

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