A rischio i fondi europei per la ricerca -L’allarme di Cnr, Infn e Licei: “Con abolizione assegni di ricerca, manca il contratto”


Decine di milioni di fondi europei per la ricerca destinati all’Italia sono a rischio perché, dopo l’abolizione degli assegni di ricerca – voluta in parte per attenuare il precariato – manca uno strumento contrattuale per assumere i dottorandi e ricercatori con i bandi Ue. Per questo le principali istituzioni scientifiche italiane hanno lanciato un appello al Parlamento e al ministero dell’Università e della Ricerca per risolvere una criticità normativa che rischia di compromettere la partecipazione dell’Italia ai progetti del percorso Marie Skłodowska-Curie Actions (Msca), parte del principale finanziamento Ue agli atenei Horizon Europe della Commissione europea. “Senza un contratto conforme alle disposizioni del Grant agreement europeo si rischia un danno significativo per l’immagine dell’Italia e per la reputazione del suo sistema di ricerca”, si legge nella lettera, firmata dai presidenti dell’Accademia nazionale dei Lincei, dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur), del Cnr, della Consulta dei presidenti degli enti pubblici di ricerca (Coper), della Conferenza dei rettori delle Università italiane, dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e dal fisico e premio Nobel Giorgio Parisi.

L’appello dei vertici accademici – Il problema nasce dall’abolizione degli assegni di ricerca, entrata in vigore da inizio 2025. Il Grant Agreement stipulato con Bruxelles impone l’obbligo di assumere anche i dottorandi con un contratto di lavoro che garantisse copertura previdenziale minima (congedi per malattia, parentali, copertura per infortuni sul lavoro e malattie professionali), e se prima a questo scopo venivano utilizzati gli assegni di ricerca, ora manca uno strumento contrattuale adeguato per l’assunzione dei dottorandi coinvolti nei progetti Msca Doctoral Network. “Mentre il recente strumento del contratto di ricerca può essere impiegato per l’inquadramento dei vincitori delle Postdoctoral Fellowship, questo non risulta applicabile ai progetti Doctoral Network per l’assunzione dei dottorandi, in quanto un candidato al dottorato non soddisfa il requisito relativo ai tre anni di attività di ricerca”, si legge nella nota inviata alla settima Commissione permanente del Senato.

I numeri in gioco sono significativi: nei bandi Msca per il periodo 2021-23, l’Italia si è posizionata al quinto posto con 724 partecipazioni e 288 progetti approvati, ottenendo un contributo europeo di circa 145 milioni di euro. Complessivamente, il Paese riceve una media di 85 milioni di euro all’anno attraverso i progetti Msca. La situazione è diventata critica il 2 aprile 2025, quando la European research Executive agency (Rea), agenzia Ue responsabile dell’implementazione dei progetti Msca, ha ricordato ai beneficiari italiani l’obbligo di stipulare un accordo formale di lavoro con i dottorandi, come previsto dal Grant agreement con la Commissione europea. “Attualmente, l’Italia si trova nell’impossibilità di stipulare un contratto di lavoro conforme ai requisiti previsti, rendendo al momento, di fatto, inammissibile il finanziamento europeo”, sottolineano i firmatari nella nota. I beneficiari italiani stanno comunque firmando i Grant agreement per non precludersi la partecipazione ai network internazionali, ma se la situazione non si risolverà rapidamente, rischiano di non poter rispettare gli obblighi contrattuali, con la conseguente uscita dai progetti e la perdita definitiva dei finanziamenti.

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La situazione attuale e i rischi per i precari – “Si tratterebbe di una perdita particolarmente grave, considerando che le azioni Msca rappresentano, da quasi trent’anni, un pilastro strategico per il nostro Paese”, avvertono i firmatari, che chiedono l’introduzione “inderogabilmente entro poche settimane” di uno strumento contrattuale idoneo. La lettera fa appello all’interesse “strategico del Paese nel campo della ricerca e dell’innovazione”, e alla necessità di “offrire opportunità concrete di crescita professionale a centinaia di giovani, il cui percorso rappresenta un investimento cruciale per il futuro dell’Italia e dell’Europa”. C’è da precisare però che l’abolizione dell’assegno era finalizzata proprio a evitare la precarizzazione della ricerca, perché usato troppo spesso senza garanzie né tutele di crescita. Sull’esistenza di assegni, in effetti, istituzioni e lavoratori sono divisi: i vertici chiedono strumenti di assunzione flessibili, mentre gli accademici lottano per percorsi strutturati.

L’associazione dei dottorandi e dottori di ricerca (Adi) ha presentato un esposto alla Commissione Ue perché vengano bloccati tutti gli inquadramenti volti a frammentare il percorso di carriera, un risultato che per loro sarebbe invece raggiunto con la riforma Bernini e che è in contrasto con gli obiettivi del Pnrr. Oltre ai contratti per accedere ai bandi europei, infatti, l’Europa chiede all’Italia di adeguare i contratti dei ricercatori a quelli del resto dell’Ue per dare stabilità alle loro professioni. La distanza tra le posizioni interne agli atenei è aggravata poi dalla mancanza di fondi interni, ridotti nel 2024 mentre i rettori chiedevano aumenti di stipendi. Il rischio, per i precari, è che attraverso forme come gli assegni di ricerca si continui a penalizzare la stabilità senza una visione comune di progresso.

“Le rigidità del contratto di ricerca, ereditato da questo Governo, stanno mostrando chiaramente tutti i propri limiti – fanno sapere fonti del Miur – . Invece di risolvere lo storico problema del precariato, sta impedendo ai ricercatori italiani di partecipare a progetti internazionali. L’auspicio è che tutte le forze politiche scelgano di ascoltare davvero chi ogni giorno sostiene la ricerca e contribuiscano alla costruzione di soluzioni concrete e durature.”

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