Startup assistita o geniale? Ruralis e il dilemma dell’Italia che finanzia (bene)


Nel panorama dell’imprenditoria giovanile italiana, specialmente quella radicata nelle aree interne del Meridione, ogni storia di successo diventa occasione per riflessione, entusiasmo e – inevitabilmente – dibattito e qualche invidia. Così è stato per Ruralis (Ruralis.com), la startup nata nel 2022 in un piccolo comune irpino, fondata da Nicolas Verderosa e specializzata nella gestione digitale degli affitti brevi in zone a bassa densità demografica.

La notizia che ha acceso la miccia è stata semplice, ma potente: Ruralis ha ottenuto un finanziamento a fondo perduto da 1,8 milioni di euro nell’ambito del programma Montagna Italia, promosso dal Ministero del Turismo e finanziato dal Fondo Unico Nazionale per il Turismo. Ma questo è solo l’ultimo tassello di un puzzle ben più ampio. La startup aveva già ottenuto precedentemente un altro milione di euro a fondo perduto, concluso una campagna di crowdfunding in Italia, e ora è su Wefunder, piattaforma americana di equity crowdfunding: obiettivo 500.000 dollari per Ruralis Inc.

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Ruralis, insomma, ha scelto di percorrere ogni strada possibile per finanziare la propria crescita: fondi pubblici, investitori privati, strumenti partecipativi, senza cedere quote a fondo perduto quando non strettamente necessario. Il dovere dell’imprenditore è cercare clienti, risorse e, se possibile, far parlare della propria azienda – anche quando i giornalisti capiscono spesso molto poco di quello che, talvolta, copiano e incollano.

Quando ho letto l’annuncio del finanziamento a fondo perduto – e così importante – la mia reazione iniziale è stata quindi di forte perplessità. Ho pensato a quanto sia facile, in Italia, generare clamore con cifre a sei zeri, e quanto invece sia difficile fare vera impresa sul territorio. Ho sentito una punta di fastidio, lo ammetto. Forse anche un pizzico di invidia costruttiva, di quelle che ti portano a domandarti: “Ma perché noi no? Perché non abbiamo mai davvero cercato questi fondi, nonostante gli anni di attività nel mondo dei borghi e delle aree interne?“.

Eppure, questo stesso fastidio è stato anche un segnale di qualcosa che valeva la pena approfondire. E così ho fatto ciò che spesso non si fa: ho preso in mano il telefono, ho mandato un messaggio, ho chiesto chiarimenti e posto domande un po’ antipatiche. Con Nicolas mi ero confrontato un paio di anni fa, in occasione della loro prima campagna di crowdfunding, e fortunatamente mi ha risposto prontamente. Ho voluto aprire un dialogo diretto con chi questo percorso lo sta facendo, e lo sta facendo bene, al di là dei gusti personali e dei pregiudizi. Perché se è vero che l’Italia (talvolta) soffre di assistenzialismo, è anche vero che troppe volte condanniamo senza conoscere.

Lo ripeto, seguo Ruralis da tempo. Ho interessi nel mondo in cui opera: affitti brevi, hospitality, aree interne, marketing del territorio, etc.  In passato, avevo anche valutato l’ipotesi di collaborare più strettamente, poi ho scelto di dedicarmi completamente a ITS ITALY (perdonate la self-promotion). E nel tempo ho osservato da lontano, con un misto di interesse e scetticismo, le loro mosse, le partnership, la narrazione. Ho riconosciuto il talento nella capacità di attrarre fondi, nel posizionarsi in un mercato frammentato, nell’usare bene la leva del racconto. Ma ho anche percepito alcuni eccessi, alcune imprecisioni nel modo in cui veniva presentata l’attività, un uso forse eccessivo di articoli poco trasparenti nella loro natura promozionale. E scusate se da editore e ‘contributor’ faccio emergere una non velata critica a molti giornalisti ed editori – ma questa è un’altra storia.

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Eppure, ciò che mi ha colpito è stata la prontezza di Nicolas nel rispondere. Non ha schivato il confronto, non si è rifugiato dietro a comunicati. Ha risposto punto per punto, con chiarezza. Ho scelto quindi di scriverne come un percorso. Non solo con domande e risposte, ma provando a ricostruire un filo logico, un ragionamento che può essere utile a chiunque si occupi oggi di rigenerazione territoriale, di startup nei piccoli comuni, di politiche pubbliche e fondi europei.

Nicolas, Ruralis ha ricevuto ulteriori 1.8 milioni di euro di finanziamento a fondo perduto per investimenti nella propria tecnologia e l’apertura di una nuova sede. Il finanziamento ricade nel piano Montagna Italia. Cosa prevede esattamente questo finanziamento e lo avete ottenuto insieme a dei partner istituzionali locali co/beneficiari?

Ti ho inviato l’abstract dettagliato del progetto e delle azioni finanziate (ndr – un documento di due pagine in cui si illustrano gli interventi). Tra il 2024 e il 2025 Ruralis ha ottenuto un totale di €2.84 milioni a fondo perduto, probabilmente un record per una startup italiana. Abbiamo ricevuto qualche critica perché alcuni pensano che questi fondi vengano sprecati, mentre in realtà li investiamo efficacemente, contrariamente a quanto spesso accade nel settore pubblico. Abbiamo deciso strategicamente di internalizzare il processo di ricerca bandi, investendo in due risorse altamente specializzate e sviluppando un know-how aziendale. 

Tra il 2024 e il 2025 Ruralis ha ottenuto un totale di €2.84 milioni a fondo perduto, probabilmente un record per una startup italiana.

L’accesso ai fondi pubblici per sviluppare la vostra azienda sembra una caratteristica quasi co-essenziale del vostro format. Nulla di male, anzi complimenti perché per accedere agli stessi ci vuole molto lavoro, pianificazione e un po’ di testardaggine. Ma pensi che questa grande disponibilità sia sostenibile a lungo termine per far crescere un’impresa?

Per noi, fare startup non significa soltanto attrarre venture capital (che in Italia spesso dorme), ma diversificare e cogliere le opportunità che ci circondano. La disponibilità di fondi pubblici, così come il venture capital o altre forme di finanziamento, è sostenibile se utilizzata per accelerare modelli di business già validati dal mercato.

Ruralis, con una campagna crowdfunding su piattaforma americana e apertura di una Inc. a NY, dichiara ora di volersi espandere anche in quel mercato. Non è in contrasto con la scelta di puntare alle aree rurali italiane?

La nostra vision è quella di contribuire alla rinascita dei piccoli comuni e delle comunità rurali che soffrono lo spopolamento, creando un mondo più equo e sostenibile. Questo stesso modello lo stiamo replicando nello Stato di New York, dove oltre il 90% del territorio è rurale. L’espansione negli USA non è quindi in contrasto con la nostra mission, ma una naturale estensione della stessa.

Ruralis ha una presentazione che punta fortemente sul tema borghi/territorio, partner attivi su questo fronte e chiaramente fa leva su questo. Quanto è difficile rimanere ‘accountable’ su questi punti?

Ruralis ha l’obiettivo primario di scalare il proprio modello di business supportando i proprietari nella gestione digitale delle case vacanza. Tuttavia, con la nostra crescita, contribuiamo direttamente ed indirettamente a valorizzare e dare visibilità ai tanti borghi italiani, che spesso rimangono esclusi dal dibattito privato e pubblico. Ne è una dimostrazione la recente stretta sugli affitti brevi, durante la quale ci si è concentrati prevalentemente sui danni causati nelle grandi città, trascurando i significativi benefici economici e sociali che lo stesso fenomeno può portare nei piccoli comuni e nelle aree interne.

Da italiano ‘rientrato’ hai scelto di lanciare un’azienda dal territorio, ma con aspirazioni internazionali. Quali pensi sia la principale difficoltà (e sfida) di questa scelta, rispetto al valore aggiunto che porti all’azienda, ai collaboratori, agli investitori e, chiaramente, allo stesso territorio?

Fare impresa da un piccolo borgo di 3000 abitanti è certamente più sfidante rispetto a farlo da Milano, proprio per la mancanza di un ecosistema startup. Le difficoltà più grandi, spesso, risiedono dentro di noi. Dal primo giorno abbiamo puntato a costruire valore reale per proprietari e stakeholder: Ruralis guadagna principalmente se generiamo ricavi per i nostri clienti, in un modello totalmente autofinanziato dai risultati.

Puoi fornirci uno spaccato del vostro fatturato per anno e per quanto generato effettivamente da turisti nelle aree rurali, visto che operate anche in zone più urbane? In quanti comuni sotto i 5000 abitanti e con quante unità collaborate attualmente?

In allegato il dettaglio delle vendite Ruralis. Di questo, tratteniamo circa il 10%, mentre la restante parte (al netto delle commissioni dei portali e tasse) è direttamente distribuita ai proprietari, creando economie locali generative. Attualmente, circa il 90% delle strutture che gestiamo si trova in comuni dai 300 ai 5000 abitanti. I benefici generati dai turisti non riguardano solo i proprietari degli immobili, ma si estendono a ristoranti, bar e altre attività locali.

Dettaglio delle vendite Ruralis. “Di questo, tratteniamo circa il 10%, mentre la restante parte (al netto delle commissioni dei portali e tasse) è direttamente distribuita ai proprietari, creando economie locali generative”.

Oltre alla qualità della soluzione tecnologica di Ruralis, per quale ragione la vostra offerta ritieni sia preferibile da un proprietario di un borgo italiano rispetto a quella di altri vostri concorrenti che sono anche loro presenti sul territorio e con numeri decisamente più importanti? Cosa c’è di così specifico in Ruralis?

Potrei scrivere molto sui nostri ‘competitor’, ma per essere sintetico direi che la differenza principale è l’età media del nostro team (29 anni), la mentalità digitale e internazionale. Alcuni competitor invece, sono un po’ “boomer”, faticano con l’inglese e hanno un approccio limitato al mercato, a partire dal nome del brand, che in alcuni casi contiene la parola “Italy”, simbolo di una visione un po’ ristretta.

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Alla fine di questo confronto, la mia posizione si è evoluta. Non mi convincono ancora molti passaggi se devo essere sincero, soprattutto sulla redditività del core business e degli effettivi flussi nelle aree interne. Senza fondi pubblici e crowdfunding avrebbe retto questo modello? O per quanto potrebbe andare avanti? Non lo porterei come esempio di bootstrapping, di certo. Ma se ricerca (e aggiudicazione) di bandi e finanza alternativa creano valore finanziario non fanno forse parte del conto economico?

Quello che vedo in Ruralis è un esperimento interessante, per certi versi unico in Italia: una startup che sceglie il territorio come centro, ma non si chiude in esso. 

Non sono diventato un fan acritico, ma mi sono tolto dalla postura da “roaster” e ho abbracciato quella di chi osserva con curiosità e spirito costruttivo. Quello che vedo in Ruralis è un esperimento interessante, per certi versi unico in Italia: una startup che sceglie il territorio come centro, ma non si chiude in esso. In questo ci vedo moltissima familiarità con il percorso inverso che ho fatto in questi anni, dalla City verso il territorio italiano, anche se con una certa riluttanza ad aspettare il Pubblico.

Un’impresa, Ruralis, che fa impresa cercando tutte le risorse disponibili, pubbliche e private, e lo fa con metodo.

C’è una lezione qui, per me e per tanti altri. La lezione è che i fondi pubblici non sono il nemico, se usati bene. Che non c’è nulla di male a fare grant strategy, se ci sono risultati, rendicontazione, crescita. Che un’impresa può usare bandi e finanziamenti per costruire infrastruttura e futuro, se ha una visione. Qualche fighetto con un paio di anni di VC imbruttito da Milano o Londra probabilmente farebbe lo schifato, ma alla fine la corte ai fondi pubblici la fanno i banker per primi.

Qualche fighetto con un paio di anni di VC imbruttito da Milano o Londra probabilmente farebbe lo schifato, ma alla fine la corte ai fondi pubblici la fanno i banker per primi.

Certo, lo storytelling va maneggiato con cura. La comunicazione deve essere trasparente, onesta, coerente. Ruralis ha ancora margini di miglioramento qui. Ma se l’obiettivo è portare turisti nei borghi (chiamiamoli paesi), attivare economie locali, evitare che i ragazzi scappino e che i centri minori muoiano, allora ben venga anche un approccio ambizioso, integrato, pragmatico.

Ho detto all’inizio che non avrei investito oggi in Ruralis. Lo confermo: non per sfiducia, ma perché il mio ruolo è un altro e perché non mi fido troppo della scalabilità del modello, soprattutto nel lavoro con il Pubblico. Ma collaborare con loro? Subito. Lavorare insieme sui bandi? Domani. Incrociare esperienze, sperimentare modelli, portare la mia competenza nei territori dove operano? Senza esitazioni.

Perché in fondo il valore di una storia non è solo nei numeri che muove, ma nelle domande che ci obbliga a porci. Ruralis, con tutte le sue forze e le sue fragilità, ci costringe a guardare in faccia il futuro delle aree interne. E a chiederci: siamo pronti a cambiare paradigma? Siamo pronti a usare davvero tutti gli strumenti a disposizione per rigenerare il Paese profondo?

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Saldo e stralcio

 

Se la risposta è sì, allora Ruralis non è una storia isolata. È un laboratorio. E forse, anche una lezione.



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