Il commercio internazionale è da sempre la linfa vitale dell’economia italiana. In un Paese con una base produttiva fortemente orientata all’export, la salute delle esportazioni si traduce in crescita, investimenti, occupazione. Non sorprende dunque che il rallentamento registrato nel secondo trimestre del 2025 stia destando più di una preoccupazione.
I dati Istat della Nota sull’andamento dell’economia italiana, pubblicati il 10 settembre 2025 e relativi al periodo di luglio e agosto 2025, ci consegnano un quadro contrastante: se da un lato il mercato del lavoro continua a tenere e la produzione industriale dà segnali di recupero, dall’altro la dinamica degli scambi internazionali mostra segnali di debolezza che rischiano di condizionare l’intero percorso di crescita del Paese.
Commercio estero e calo delle esportazioni
Il Pil italiano ha segnato nel secondo trimestre una lieve flessione dello 0,1% su base congiunturale. Una variazione apparentemente contenuta, ma che fotografa bene la fragilità della ripresa economica del Paese. A frenare è soprattutto l’export, mentre i consumi privati restano stabili e gli investimenti, pur in rallentamento, continuano a crescere.
Provando a tradurre i dati Istat, questi ci suggeriscono che famiglie e imprese hanno mantenuto una certa stabilità, ma ciò che manca è la spinta dall’estero, storicamente determinante per un Paese manifatturiero come l’Italia.
L’interscambio commerciale tra aprile e giugno ha infatti mostrato una netta decelerazione, trainata dal calo delle esportazioni verso i mercati extra Ue.
Dove l’Italia sta perdendo terreno
Il rallentamento non è generalizzato, ma ha delle geografie precise che meritano attenzione. Le esportazioni italiane hanno subito una frenata verso gli Stati Uniti, da tempo ormai un mercato molto importante per l’export.
A pesare è la competizione internazionale e, in alcuni settori, la spinta protezionistica delle politiche commerciali americane. A questo calo si sono aggiunte forti flessioni anche verso:
- Regno Unito;
- Cina;
- Russia;
- Turchia.
Nel Regno Unito le conseguenze della Brexit continuano a farsi sentire. L’Italia sconta non solo dazi e burocrazia, ma anche un mercato interno britannico meno vivace.
Cina, in cui le difficoltà sono più strutturali. La contrazione della domanda e la ricerca di autosufficienza tecnologica limitano le opportunità per l’export italiano, soprattutto nei beni di consumo e nei macchinari.
Russia, Paese in cui le sanzioni internazionali e le tensioni geopolitiche rendono sempre più complicati i rapporti commerciali.
Turchia, per via delle instabilità valutarie e politiche che si traducono in un crollo delle importazioni.
Questi mercati non sono marginali, insieme rappresentano una quota significativa dell’export italiano e la loro contrazione pesa sulla bilancia complessiva.
Le sfide per il futuro
Il rallentamento del commercio estero italiano non è un incidente isolato, ma il riflesso di tendenze globali e di fragilità interne.
L’Italia deve affrontare alcune sfide cruciali e, per esempio, puntare alla diversificazione dei mercati per ridurre la dipendenza da pochi Paesi extra Ue e rafforzare la presenza in aree emergenti con maggiore dinamismo, come Sud-est asiatico, Africa e America Latina.
Inoltre, per competere sui mercati servono prodotti ad alto valore aggiunto, tecnologici e sostenibili. E quindi servono investimenti e politiche più incisive.
L’Italia da sola ha margini limitati; occorre spingere l’Unione Europea verso una politica commerciale comune capace di bilanciare gli effetti del protezionismo globale e sostenere le Pmi esportatrici.
Molte piccole e medie imprese faticano ad affrontare mercati complessi, pertanto bisogna rafforzare strumenti di credito all’export e servizi di internazionalizzazione.
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