Preoccupa il destino dei lavoratori Yoox, dopo l’annuncio di oltre 160 esuberi. Ma non c’è solo il colosso dell’e-commerce a far tremare il mondo del lavoro a Bologna. Marelli, Minarelli, Saga Coffee, Tracmec, Tecniform, Bredamenarinubus e Manz, Menarini: numerose le crisi aperte negli ultimi mesi – o che si trascinano da anni – spesso passate per mediazioni tra aziende, enti territoriali, sindacati e associazioni di categoria, in Città metropolitana o in Regione, fino ai ministeri.
Dati alla mano – forniti da Cisl e Fim Cisl – BolognaToday Dossier ha tentato di fare una ricognizione sulle realtà del territorio che stanno attraversando le maggiori difficoltà.
Tra esuberi e perdite miliardarie
Partiamo da un caso che si è protratto per anni e la scorsa estate ha raggiunto un epilogo che lascerebbe ben sperare per il futuro, quello de La Perla, il marchio bolognese di lingerie di lusso. A giugno l’imprenditore americano Peter Kern, ex Ceo di Expedia, ha rilevato l’azienda di via Mattei che era stata dichiarata insolvente dal Tribunale di Bologna e si trovava in amministrazione straordinaria, con il marchio controllato da una società britannica in liquidazione. Kern ha presentato un piano di rilancio che prevede il mantenimento dei circa 210 dipendenti esistenti, l’assunzione di altri 40, e un investimento significativo (circa 30 milioni di euro entro il 2027) per rilanciare il sito produttivo di Bologna e salvaguardare il know-how manifatturiero. Queste le promesse su carta. Fari puntati sul futuro.
Fari puntati sul presente, invece, di Yoox Net-a-Porter (Ynap) S.p.A., per anni “unicorno” italiano, ovvero la sola startup in grado di superare il miliardo di dollari di valutazione. Poi la parabola che ha portato al settembre 2025, quando sono stati annunciati 211 i licenziamenti (700 a livello internazionale). Sul territorio bolognese, i posti a rischio sono 165, tra le sedi di Zola Predosa e quella dell’Interporto, il resto riguarda Milano.
L’azienda di e-commerce di moda e design, fondata nel 2000 dal ravennate Federico Marchetti (ora nel cda della Giorgio Armani), è stata acquistata nel 2018 dal colosso Richemont che a sua volta lo ha ceduto un anno fa a Mytheresa, tra le principali piattaforme digitali del lusso. Per rendere appetibile la cessione, il gruppo svizzero ha lasciato in dote alla società 555 milioni di euro e ha ricevuto in cambio il 33% di LuxExperience, la nuova capogruppo quotata a Wall Street che riunisce le attività Ynap e Mytheresa.
Ma non pare essere bastato. Ynap avrebbe totalizzato oltre 2 miliardi di perdite negli ultimi anni, con una riduzione dei ricavi di 191 milioni nell’ultimo esercizio.
Da qui si arriva all’annuncio di esuberi. Dopo questi a Bologna sono stati avviati scioperi a rotazione e presidi insieme ai sindacati che esprimono “forte contrarietà alla linea aziendale e dubbi sulla legittimità della procedura di licenziamento”.
Dagli Agnelli alla recessione
Guardando oltre il settore della moda, pochi mesi prima della “bomba Yoox”, ovvero a giugno scorso, è stata aperta la procedura di liquidazione per la Marelli S.p.A. Nel corso del Novecento il marchio si lega a doppio filo con Fiat, tanto che la famiglia Agnelli ne acquisisce l’intero capitale sociale, trasformandola in un leader globale nella componentistica (centraline, sensori, iniettori).
La sua storia si intreccia anche con Ferrari, che nel 1989 utilizza tecnologie Marelli per sviluppare il primo cambio semiautomatico in Formula 1. L’azienda si afferma poi anche nel settore dei ricambi (aftermarket). Nel 2019, infine, Fca (Fiat Chrysler Automobiles) la cede al gruppo giapponese Calsonic Kansei, controllato dal fondo statunitense Kkr, preludio alle difficoltà culminate nella liquidazione.
A settembre del 2023 arriva infatti l’annuncio della chiusura della sede di Crevalcore, che produce collettori di aspirazione e pressofusi di alluminio e impiega 230 persone. Tra presidi e scioperi a oltranza, subentra Tecnomeccanica, oggi in cassa integrazione straordinaria. Il 70% della produzione è collegato al cliente principale, la stessa Marelli, che in questo momento non naviga in buone acque.
Per l’azienda, che solo nello stabilimento di via del Timavo conta circa 500 dipendenti, è stata aperta una procedura di liquidazione nel mese di giugno 2025. Passata dal fondo Kkr al fondo Svp, gestito dai creditori, che hanno rilevato la società, si attende quindi il piano industriale, ma si teme la “vendita spezzatino”, considerando che Marelli e Tecnomeccanica gravitano nel settore automotive. Settore fortemente in recessione.
E poi c’è il rapporto con Stellantis, il gruppo di costruttori di auto che include anche Fiat, il quale “nei prossimi mesi assumerà una serie di decisioni sulle motorizzazioni, decisive per la sopravvivenza della industria dell’auto italiana nel suo complesso”, dichiarano i sindacati. Il prossimo incontro sarà al ministero, il primo ottobre.
I bolidi fermati dal mercato
C’è poi Minarelli S.p.A., di Lippo di Caldarara di Reno, che è oggetto di un tavolo regionale, in seguito all’apertura degli ammortizzatori sociali e dei contratti di solidarietà per circa 200 dipendenti.
Nata nel 1951 a Bologna con il nome F.b.m. (Fabbrica bolognese motocicli), da Vittorio Minarelli e Franco Morini, produce moto, come il “Gabbiano” e il “Vampir”. Nel 1954, si orienta verso i motori da 48cc. Nel 1956, i soci si separano e Vittorio fonda la F.b. Minarelli che si dedica ai due tempi. Nel 1967, diventa Motori Minarelli e si sposta nell’attuale stabilimento di Lippo. Negli anni ’70 produce migliaia di motori per moto e per uso agricolo, un periodo segnato anche da grandi successi sportivi: tra il 1978 e il 1981, vince quattro titoli mondiali costruttori e due titoli piloti nella classe 125cc. Diventa poi fornitrice di Aprilia, Yamaha e Beta. Proprio l’azienda giapponese, nel 2002 acquisisce il controllo dell’azienda.
Nel 2017, vengono licenziati 58 dipendenti, a fronte di un incentivo economico di 75.000 euro, a causa della “crisi del mercato degli scooter”, come motivazione l’azienda. Tuttavia, solo tre mesi dopo, una parte del personale viene richiamata per gestire un aumento degli ordini. Alla fine del 2020, Motori Minarelli torna di proprietà italiana, grazie all’acquisizione da parte di Fantic Motor. Come Marelli e Tecnomeccanica, subisce il crollo delle vendite, con un mercato praticamente fermo e un’esposizione finanziaria elevata.
Si è già svolto il primo incontro tra sindacati, assessorato al lavoro regionale e dirigenza. Si tratta di un tavolo di salvaguardia, richiesto dalle organizzazioni sindacali dopo la decisione dell’azienda di ricorrere agli ammortizzatori sociali straordinari, la conclusione della cassa integrazione ordinaria e l’avvio della composizione negoziata della crisi. Il confronto è aggiornato al prossimo ottobre, quando la Regione riconvocherà le parti per la presentazione del piano industriale: “Individuare rapidamente una soluzione che metta al centro le oltre 200 lavoratrici e lavoratori dello stabilimento di Calderara di Reno, sui quali aleggia ancora la paura della crisi del 2017. Persone che, senza alcuna responsabilità, si trovano a dover affrontare l’ennesima crisi aziendale” sottolineano Fiom Cgil e Fim Cisl.
Anche a Mordano il futuro è in bilico
Da Calderara, a Mordano. Anche qui diverse famiglie hanno passato qualche notte insonne prima di tirare un sospiro di sollievo. Alla Tracmec S.r.l. il 29 maggio scorso è infatti stato ritirato il licenziamento collettivo per 45 lavoratori, attivati gli ammortizzatori sociali e i contratti di solidarietà che comunque – è bene sottolinearlo – hanno un termine. Il tutto dopo che il gruppo tedesco Bauer, che guida l’azienda produttrice di sottocarri cingolati, ad aprile scorso aveva annunciato il prossimo stop della produzione. Il calo degli ordini, i costi di produzione, l’idea della delocalizzazione in altri Paesi, le possibili cause sottostanti. Se al momento l’emergenza appare rientrata, si tratta tuttavia di uno scenario in evoluzione poichè, sottolinea Fin Cisl “si cercano acquirenti che garantiscano la continuità produttiva e occupazionale”.
Minaccia al design italiano
A Crespellano, Tecnoform S.p.A – azienda fondata negli anni ’60, specializzata nella produzione di arredamenti per camper e nautica di lusso – con il crollo del mercato di riferimento ha avviato la liquidazione giudiziale con esercizio provvisorio, mettendo a rischio 137 posti di lavoro.
La vertenza, seguita da Filca Cisl Emilia-Romagna per garantire il mantenimento delle professionalità, scongiurare licenziamenti unilaterali e ottenere adeguate tutele economiche per i lavoratori, ha portato a una trattativa con i potenziali acquirenti, i quali hanno riconosciuto la necessità di salvaguardare non solo i livelli occupazionali, ma anche il know-how che ha reso Tecnoform un’eccellenza a livello internazionale.
“Ritengo doveroso allargare lo sguardo alla condizione generale del comparto del legno-arredo, che presenta dati molto preoccupanti – sottolinea il segretario generale della Filca Cisl, area metropolitana bolognese, Nando Paragliola – negli ultimi due anni la filiera del legno e dell’arredamento ha registrato una frenata significativa, dovuta al rallentamento del mercato interno, al calo dell’export e all’aumento dei costi energetici e delle materie prime. I comparti chiave come quello dei veicoli ricreazionali e dell’arredo nautico hanno subito una drastica riduzione degli ordini, con la contrazione della domanda che ha messo in crisi intere filiere locali, con effetti diretti sull’occupazione – tuttavia – l’Italia rimane un punto di riferimento per qualità e design, ma fatica a reggere la concorrenza di Paesi che producono a costi più bassi. Questo si traduce in pressioni sugli stabilimenti italiani e sulla tenuta occupazionale – e infine – il settore è chiamato a investire su innovazione, sostenibilità e nuove competenze, ma senza un adeguato supporto rischia di non reggere l’urto delle trasformazioni in corso. In conclusione, la crisi Tecnoform è lo specchio di un settore che rischia di perdere terreno se non si interviene subito con un piano organico”.
A Gaggio l’azienda senza pace
Una storia che sembra infinita è quella che arriva da Gaggio Montano, sull’Appennino bolognese e che vede al centro la ex Saga Coffee. Alla fine del 2021, l’azienda che occupava 220 lavoratori, prevalentemente donne, aveva annunciato la chiusura. Dopo un presidio durato mesi, descritto anche in un libro, era stata rilevata da Gaggio Tech S.r.l. Una storia breve: a inizio del 2025, infatti, arriva la procedura di liquidazione: circa 130 i lavoratori coinvolti. Dal maggio scorso, poi, l’attivazione della cassa integrazione per cessazione.
Come si è arrivati fin qua? In principio è Saeco, piccola impresa dell’Appennino, che nel 1985 compie una vera rivoluzione creando il primo sistema al mondo per preparare l’espresso in modo completamente automatico, partendo direttamente dal chicco (‘bean to cup’). Nel 1999, arriva l’acquisizione di Gaggia e 10 anni dopo fa il suo ingresso Philips. Nel 2017, la divisione professionale entra a far parte del Gruppo N&W Global Vending, quindi diventa Saga Coffee Spa. Il resto è storia.
I sindacati hanno lamentato di aver appreso dai legali della società, della decisione del socio di maggioranza di Gaggio Tech di mettere l’azienda in liquidazione volontaria. Poi, nel corso di un incontro in Regione, a fine marzo 2025, si è formalizzata la disponibilità di Minifaber, socio di minoranza, per un affitto di ramo d’azienda con 25 lavoratori iniziali entro il 14 aprile prossimo, oltre alla garanzia del gruppo Triulzi di mantenere l’impegno di acquisto dei macchinari del ramo plastica. Le parti hanno condiviso di fare richiesta di applicazione della cassa straordinaria per cessazione per un centinaio di dipendenti.
Settanta a rischio a Sasso Marconi
C’è poi la Manz Italy di Sasso Marconi, impresa produttrice di batterie al litio e condensatori, che ha avviato la procedura di liquidazione, ricorrendo alla cassa integrazione straordinaria per cessazione fino al 31 dicembre di quest’anno. Una settantina i dipendenti a rischio.
“Ci aspettiamo che tutti i soggetti coinvolti si impegnino per una soluzione positiva della situazione affinché il patrimonio umano, professionale e tecnologico che non venga disperso. Chiediamo di monitorare e vigilare su possibili interessamenti e opportunità di investitori: in questo stabilimento è stata sviluppata in buona parte la tecnologia che ha portato lo sviluppo delle batterie al litio e tutta la tecnologia relativa ai condensatori che questo territorio non si può permettere di perdere” dichiarano Fiom Cgil e Fim Cisl.
Parliamo dell’ex Arcotronics ed ex Kemet, nel 2014, lo stabilimento passa a Manz, multinazionale tedesca specializzata nell’automotive, con focus nella produzione di batterie. Nasce quindi Manz Italia chiamata a sviluppare macchinari e processi innovativi, digitalizzati e più sostenibili per la produzione di batterie al litio di generazione 3 e 4.
Fermata d’emergenza: l’ombra del trasloco
C’è poi forte preoccupazione per lo stabilimento di via San Donato della ultracentenaria Menarini, nata nel 1919. Il 18 settembre 2025, alla presenza dell’assessore regionale al lavoro, Giovanni Paglia, si sono incontrati direzione aziendale e i rappresentanti di Fim Cils, Fiom Cgil e UIlm, in allarme per una ipotesi di spostamento del reparto prototipi e del magazzino ricambi a Flumeri (Av) a causa della scadenza di contratto d’affitto con Leonardo Spa.
Menarini ha assicurato che il reparto prototipi rimarrà a Bologna, mentre lo spostamento del magazzino sarebbe temporaneo “e senza ricadute occupazionali”, come sottoscritto dalle parti. Rimane però la preoccupazione per il rispetto dell’accordo sottoscritto a dicembre 2024, che prevedeva la cassa integrazione straordinaria per riorganizzazione, con una integrazione salariale a carico dell’azienda per i lavoratori coinvolti.
Dei 77 lavoratori che avrebbero dovuto trasferirsi a Flumeri, una parte sarebbe stata accompagnata alla pensione, mentre i restanti sarebbero rimasti a Bologna (con percorsi di formazione) o, su base volontaria, indirizzati alla ricollocazione esterna incentivata. Ora i sindacati chiedono l’intervento del ministero dello sviluppo economico “allo scopo di evitare un rallentamento del percorso di rilancio e reindustrializzazione dell’unica azienda italiana che produce autobus e rappresenta un elemento strategico della mobilità pubblica”.
Fondata a Bologna da Ettore Menarini nel 1919, l’azienda si occupava inizialmente di riparazione e costruzione di carrozze. Nel 1925 si espande e inizia la produzione di veicoli per il trasporto collettivo, come autobus e ambulanze. Più tardi viene lanciata la fortunata gamma Monocar 201, icona degli autobus italiani degli anni ’80; successivamente, l’azienda cede quote alla Breda Costruzioni Ferroviarie, dando vita al marchio BredaMenarini. Vengono quindi sviluppati i primi autobus ultra ribassati, come l’M 230, e si inizia a investire in veicoli a basse emissioni (metano, elettrici, ibridi). Nel 2015 il marchio torna a chiamarsi Menarinibus sotto la guida di Industria Italiana Autobus. Nel 2024 l’azienda viene acquisita dal Gruppo Seri Industrial e torna al nome originale: Menarini S.p.A.
I destini sospesi sono quindi numerosi, oltre alla recente “doccia gelata”, come la definiscono i sindacati, rappresentata dall’annuncio di Yoox. Facendo un calcolo approssimativo sono circa 1.500 i lavoratori coinvolti tra vertenze attive, incertezze e piani industriali che tardano ad arrivare. Si tratta comunque di una panoramica parziale, per difetto, visto che il tessuto produttivo bolognese è fatto anche di tante piccole e medie imprese, per le quali, una mappatura sarebbe più complessa.
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