Banche nel mirino delle climate litigation


Ormai chi cerca un modo concreto per far avanzare l’azione sul clima si rivolge sempre più ai tribunali, utilizzando lo strumento delle climate litigation. A finire sul banco degli imputati sono in modo crescente anche gli istituti finanziari. A cui viene contestata la scarsa azione, per non dire inazione, sulle questioni climatiche. Un paio di casi in particolare potrebbero accelerare questa tendenza.

Climate litigation: Il caso Ing

A essere coinvolti in questi casi sono due dei maggiori gruppi bancari europei e internazionali, vale a dire Ing e Bnp Paribas. La Ong olandese Milieudefensie – diventata famosa a livello internazionale per la celebre climate litigation contro Shell – a fine marzo di quest’anno ha citato in giudizio Ing presso il Tribunale Distrettuale di Amsterdam. Da notare che prima della citazione in giudizio, la Ong aveva emesso nei confronti di Ing un avviso di responsabilità e poi anche una lettera di diffida.

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Secondo Milieudefensie, le politiche climatiche di Ing non sarebbero in linea con gli accordi globali sul clima. Per cui l’istituto bancario starebbe violando il proprio dovere di vigilanza, ai sensi del diritto civile olandese e degli standard internazionali cosiddetti di soft law. In particolare Ing non starebbe agendo come dovrebbe per ridurre le sue emissioni finanziate. Cioè le emissioni prodotte dalle aziende che sostiene finanziariamente, prestando denaro o investendo.

La richiesta è dunque che Ing riallinei i suoi portafogli ai target climatici globali, operando un giro di vite sui finanziamenti finora accordati alle aziende più inquinanti. Fra cui in primis, ovviamente, le società BigOil, che continuano a investire per espandere le loro attività fossili incuranti dei dati scientifici e degli impatti già oggi devastanti del collasso climatico.

Climate litigation: il caso Bnp Paribas

Protagonista del secondo caso è la francese Bnp Paribas. È stata una coalizione di Ong – capofila Notre Affaire à Tous, insieme a Les Amis de la Terre e Oxfam France – a mettere nel mirino il colosso del credito transalpino. Questa volta ai sensi della legge francese sull’obbligo di vigilanza per le imprese entrata in vigore nel 2017.

Anche a Bnp Paribas si contesta il fatto di continuare a sostenere finanziariamente l’espansione del business dei combustibili fossili. In violazione dell’obbligo di prevenire danni ambientali e impatti negativi sui diritti umani collegati alle proprie attività. La causa è stata avviata nel febbraio del 2023. Anche in questo caso era stata preceduta da una notifica dell’intenzione di fare causa. Cosa poi puntualmente avvenuta quando le Ong hanno considerato ampiamente insufficiente la risposta di Bnp Paribas alle loro richieste.

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Finanziamenti e contributi

 

Sia la causa che coinvolge Ing, sia quella che riguarda Bnp Paribas, sono citate nell’ultimo rapporto annuale sulle climate litigation della London School of Economics. Dove sono classificate come casi “Turning-off-the-taps”. Cioè di “chiusura dei rubinetti”. Perché il loro obiettivo è appunto mettere uno stop al flusso di finanziamenti che continuano a sostenere le attività che alimentano la crisi climatica.

Le banche oggi rischiano multe, spese legali, danni reputazionali

Che i contenziosi stessero diventando un rischio di prioritaria importanza per gli istituti finanziari, e specialmente per le banche, era del resto nell’aria da qualche tempo. Si può considerare profetico al riguardo il discorso pronunciato a inizio settembre del 2023 da Frank Elderson, membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea, in cui si affermava con chiarezza che non c’era alternativa per le banche: dovevano iniziare, “a qualunque costo”, a considerare come rilevante il rischio di essere citate in giudizio su temi climatici e ambientali. E quindi imparare a gestirlo.

Anche la letteratura accademica sull’argomento è sempre più vasta, con una moltiplicazione di studi che hanno analizzato l’impatto finanziario delle climate litigation. Per le banche, che possono sia essere citate direttamente in giudizio, sia affrontare rischi indiretti quando a subire la causa sono loro clienti, tale impatto si può declinare ad esempio in multe, spese legali, responsabilità assicurative, danni reputazionali.

Bisogna tagliare con l’accetta i finanziamenti brown

In estrema sintesi, la situazione attuale per le banche si può rappresentare in questi termini. Per godere di una qualche reputazione come soggetto impegnato a finanziare la transizione ecologica e a contrastare la crisi climatica, prima a una banca poteva bastare presentarsi con un onesto portafoglio di finanziamenti green, magari da migliorare e ampliare ogni tanto. Ora non basta più.

Bisogna tagliare con l’accetta i finanziamenti brown. Cioè quelli che ancora sostengono i settori e le attività climaticamente più impattanti. Altrimenti, prima o poi, qualcuno potrà fare causa. Perché se è vero che a soffiare sul fuoco, letteralmente, delle crisi climatiche sono le aziende più inquinanti, è altrettanto vero che dietro ogni azienda c’è una banca che la finanzia. Ancora nel 2024 le maggiori banche del pianeta hanno iniettato nelle società fossil fuels quasi 900 miliardi di dollari: vostro onore, così non può continuare!



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