L’Europa del futuro deve fondarsi su un capitalismo orientato a sicurezza, valori e benessere


Deve nascere una nuova Europa” che sappia “conquistarsi un posto in un mondo in cui molte grandi potenze hanno nei suoi confronti un atteggiamento ambiguo o apertamente ostile”. E per farlo deve innanzitutto rafforzare la propria unità attraverso una “maggioranza democratica europeista”.

Così si è espressa la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen con il suo primo discorso sullo stato dell’Unione. Un momento importante per comprendere la direzione verso cui l’Europa sta andando, che ha toccato argomenti come difesa comune, Ucraina e Gaza, rafforzamento di autonomia e leadership, accordo sui dazi, conferma del Green Deal, ma anche immigrazione, giustizia sociale e riforme istituzionali come il superamento del voto all’unanimità o l’iniziativa legislativa per il Parlamento. Ne abbiamo parlato in modo approfondito qui nella Rubrica ASviS sull’Unione europea.

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Sono tante le sfide che attendono l’Europa. Per questo motivo, nel Rapporto di previsione strategica della Commissione Ue viene delineato come l’Europa immagina il 2040 tra crisi globali e nuove opportunità.

La competizione geopolitica e il declino del multilateralismo minano la stabilità internazionale, mentre il cambiamento climatico continua a produrre ingenti danni economici, pari a 738 miliardi di euro nell’Ue negli ultimi quarant’anni. A questi fattori si aggiungono l’invecchiamento della popolazione, la dipendenza da materie prime critiche, la crescente vulnerabilità delle democrazie, la sfida dell’intelligenza artificiale.

Come reagire a tutto questo? Con una “resilienza 2.0”, risponde la Commissione. Per attuarla l’Europa deve partire innanzitutto dalla definizione di una visione globale coerente, capace di rafforzarne il ruolo come attore geopolitico stabile. Dovrà garantire maggiore sicurezza interna ed esterna, facendo leva sulle tecnologie civili e militari. La ricerca e l’innovazione dovranno diventare un pilastro dell’autonomia europea, ma sempre definendo cornici etiche condivise. Allo stesso tempo servirà consolidare la resilienza economica di lungo periodo, preparandosi agli shock occupazionali e industriali. L’Europa del futuro dovrà ripensare il sistema educativo per preparare le cittadine e i cittadini a carriere multiple, sviluppando creatività e capacità di adattamento. In un contesto segnato da polarizzazione e manipolazione digitale, la democrazia dovrà essere difesa come bene comune. Si dovranno conciliare competitività e autonomia strategica e accelerare la transizione energetica senza cadere in nuove dipendenze tecnologiche. Occorre poi governare l’esplosione dell’intelligenza artificiale. Va proposto un modello di benessere inclusivo e sostenibile, capace di andare oltre il Pil come unico riferimento. Infine, sarà necessario mettere al centro la giustizia intergenerazionale, affinché le scelte compiute oggi non compromettano le opportunità di chi verrà domani. Un tema su cui qualcosa si sta smuovendo in Italia. Dopo che l’8 maggio il Senato ha approvato il disegno di legge 1192 per la semplificazione normativa, il quale prevede all’articolo 4 che “le Leggi della Repubblica promuovono l’equità intergenerazionale anche nell’interesse delle generazioni future” e che diventi obbligatoria la valutazione di impatto generazionale (Vig), come proposto dall’ASviS, oggi verrà votato in Commissione alla Camera il provvedimento sulla Vig.

Per porre le basi per una “nuova Europa”, come auspicato da von der Leyen, dal 12 al 14 settembre si è tenuta a Ventotene la Prima conferenza europea per la libertà e la democrazia, organizzata dall’Ufficio del Parlamento europeo in Italia con la collaborazione della Rappresentanza della Commissione europea in Italia. Il Manifesto di Ventotene ha ovviamente costituito la “bussola” di tutta l’iniziativa, che si è conclusa con la presentazione dell’appello “Per la democrazia e la libertà”. Di fronte al tempo fragile in cui viviamo, ha affermato la vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno, “noi dobbiamo dare una sola risposta: un’Europa più forte, più sovrana, libera e autorevole”. Per riuscirci è necessario agire subito, come ha sottolineato Mario Draghi alla conferenza di alto livello “A un anno dal rapporto Draghi”, con Ursula von der Leyen: “Non c’è un percorso chiaro per finanziare gli investimenti di cui abbiamo bisogno. Ci è stato ricordato, dolorosamente, che l’inazione minaccia non solo la nostra competitività, ma la nostra stessa sovranità. […] I cittadini e le aziende europee apprezzano la diagnosi, le priorità chiare e i piani d’azione. Ma esprimono anche una crescente frustrazione. Sono delusi dalla lentezza dell’Ue. Ci vedono incapaci di tenere il passo con la velocità del cambiamento altrove”. Draghi pone un problema analogo a quello discusso a Ventotene, evidenziando la necessità di un’Europa potenza democratica globale, che sia pienamente sovrana.

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Il discorso di visione sullo stato dell’Unione di von der Leyen è stato criticato da alcuni perché fondato su molti programmi ma pochi strumenti finanziari o politici per attuarli. Secondo Marco Leonardi, docente di economia politica all’Università degli Studi di Milano, la proposta di Quadro finanziario pluriennale 2028-2034 presenta “un bilancio piccolo” (l’1% del Pil complessivo, contro quello americano di circa il 25%). Il bilancio non è stato allargato ma redistribuito, con la scelta di spendere di più su competitività e difesa, riducendo su agricoltura e coesione. Inoltre, “ciò che è importante è il metodo”, ha sottolineato, in stile Pnrr: “cambia in maniera positiva: dividiamolo tra Paesi poi i Paesi se la vedono con Regioni e comuni per fare una trattativa interna piuttosto che un bilaterale con la Commissione e gli uffici europei”. La Commissione sottolinea che gli elementi chiave del Quadro finanziario pluriennale sono la maggiore flessibilità, i programmi più semplici e armonizzati, i piani di partenariato basati su investimenti e riforme, un fondo per la competitività da 450 miliardi di euro e un pacchetto di nuove risorse proprie di 58,5 miliardi di euro/anno. Ad ogni modo, adesso per venire approvato dovrà essere discusso dai 27 Stati membri, adottato all’unanimità in Consiglio europeo e votato dal Parlamento europeo senza possibilità di emendamenti: un confronto complesso dove sarà necessaria una sintesi tra i vari interessi.

Altro ostacolo particolarmente rilevante è la presenza all’interno delle forze politiche che sono nel Parlamento europeo di punti di vista estremamente diversi, che si sommano a quelli dei governi riuniti nel Consiglio con punti di vista altrettanto differenti. “Viviamo in un momento di bias cognitivo, una dissociazione forte tra quello che percepiamo come importante e ciò che diciamo o facciamo”, ha affermato il direttore scientifico dell’ASviS Enrico Giovannini, che tornando al discorso di von der Leyen si è concentrato su tre punti: il primo, è che la difesa è una questione di sopravvivenza, di libertà, urgentissima; secondo, il Rapporto Draghi è stato letto in maniera incredibilmente distorta, perché dice che la competitività è un fattore decisivo per realizzare gli obiettivi dell’Unione che sono il progresso sociale, un ambiente sostenibile, ecc., cioè uno strumento per un fine, invece sembra essere diventato, soprattutto a Bruxelles nella Commissione, un mantra che consente di passare sopra a tutto il resto; infine, se alcune decisioni in nome della semplificazione come il pacchetto Omnibus vengono addirittura criticate apertamente dalla Bce che avvisa che evitare la rendicontazione di sostenibilità, ancorché semplificata, e ridurre drasticamente l’applicazione della due diligence mette a rischio la stabilità finanziaria dell’Europa, bisogna andare a vedere che cosa c’è dietro. E dietro c’è “una battaglia tra capitalismi diversi”.

Rinunciare a una serie di strumenti, a combattere sul fronte dell’AI, del commercio internazionale, brandendo il Rapporto Draghi, vuol dire che il capitalismo europeo deve inseguire quello americano, che, lo sappiamo, ha una serie di vantaggi importanti, ma produce un Paese che in termini di benessere per le persone è peggio dell’Europa”, ha affermato Giovannini, “quindi credo che uno degli elementi che dovremmo recuperare sul piano valoriale e dei messaggi è che il Trattato dell’Unione dice che l’obiettivo dell’Unione è promuovere la pace, i valori dei suoi popoli e il benessere (non parla di Pil) ed elenca i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile. Questo è il mandato che abbiamo dato all’Unione”.  

Inseguire altri modelli significherebbe perdere l’anima dell’Europa. La sfida, oggi, è ribaltare la logica: non un capitalismo che divora valori e diritti, ma un capitalismo che li mette al centro. Il mandato iscritto nel Trattato e negli Obiettivi di sviluppo sostenibile è la bussola che deve guidare le scelte politiche ed economiche dei prossimi decenni. Solo così l’Europa potrà davvero fondarsi su un capitalismo per la pace, la sicurezza, i valori e il benessere dei suoi popoli.

 

Copertina: European Union, 2025



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