cosa c’è nella prima legge italiana sull’IA




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Una cornice di principi, tante deleghe al Governo e l’obiettivo di allineare l’Italia al nuovo diritto europeo. Dopo mesi di discussioni, emendamenti e qualche compromesso, è arrivata ieri – con 77 sì, 55 no e 2 astenuti – l’approvazione definitiva in Senato del ddl 1146-B, primo passo verso la regolazione italiana dell’intelligenza artificiale. Un passaggio atteso: il Paese entra ufficialmente nella partita globale, con l’intenzione di affiancare l’Europa nel percorso aperto dall’AI Act, il regolamento comunitario adottato un anno fa. «L’AI Act dell’Ue è importante, ma tocca solo una parte dei temi legati all’intelligenza artificiale – evidenzia ad Avvenire Alessio Butti, sottosegretario con delega all’Innovazione –. Non entra nel dettaglio degli aspetti etici, ma disciplina i procedimenti tecnici e la valutazione del rischio. La nostra legge prende spunto dalle peculiarità italiane, dalla ricerca al mondo delle pmi, e stabilisce una cornice entro cui inserire singole tessere: imprese, pubblica amministrazione, sanità, giustizia. È quindi complementare al regolamento europeo e affronta questioni come difesa e sicurezza che non rientrano nelle competenze di Bruxelles».

Il ddl, articolato in sei capi, individua i principi cardine: rispetto dei diritti fondamentali, sicurezza, trasparenza, spiegabilità degli algoritmi, tutela della dignità umana. Un linguaggio non difforme da quello europeo, ma declinato in chiave nazionale. L’articolo 4 richiama la libertà di espressione e il pluralismo dell’informazione, mentre l’articolo 5 lega esplicitamente l’uso dell’intelligenza artificiale allo sviluppo economico, con l’idea di accompagnare la crescita industriale e scientifica senza perdere di vista i diritti dei cittadini. Tra i capitoli più delicati spicca la sanità, settore in cui l’intelligenza artificiale potrà essere utilizzata per diagnosi, cure e ricerca. L’articolo 8 autorizza l’uso secondario di dati sensibili a fini di ricerca, purché anonimizzati e con l’approvazione dei comitati etici. «In questo passaggio – osserva Butti – abbiamo voluto dare importanza al dato destinato alla ricerca non a fini di lucro. È un elemento essenziale per coniugare innovazione e tutela delle persone».

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Il lavoro è un altro nodo cruciale. Il testo introduce l’obbligo per i datori di lavoro di informare i dipendenti sull’uso di sistemi intelligenti, ma senza aprire nuovi spazi di contrattazione o di tutela collettiva. La Cgil ha parlato di recente di occasione mancata: l’articolo 11 si limita a richiamare obblighi informativi già previsti, lasciando i lavoratori potenzialmente soli davanti a processi di automazione capaci di incidere su ritmi, valutazioni e persino carriere.

Anche la giustizia trova spazio nel testo: l’articolo 15 vieta l’uso dell’intelligenza artificiale per decisioni giudiziarie automatizzate, segnalando un confine invalicabile per evitare derive incompatibili con i principi costituzionali. Anche davanti all’impiego dell’IA nel procedimento giudiziario, «è riservata al magistrato ogni decisione sull’interpretazione e sull’applicazione della legge», oltre che sulla valutazione dei fatti e delle prove. Accanto a ciò, il testo interviene sul piano penale introducendo il reato di diffusione di immagini, video o voci falsificate tramite intelligenza artificiale con conseguente danno, punito da uno a cinque anni di reclusione. «Questo articolo – sottolinea Butti – è stato molto dibattuto, insieme a quello sul copyright. Non riguarda casi specifici, ma intende inasprire una serie di licenze sfrenate. Per affrontare il tema abbiamo pensato a una task force operativa h24, una sorta di work room capace di intervenire subito sulla diffusione di contenuti manipolati. È un tema delicatissimo che richiede accordi internazionali».

Un’attenzione particolare viene rivolta anche alla pubblica amministrazione, chiamata a coniugare innovazione ed equità di accesso ai servizi. Il testo consente l’uso di sistemi anche ospitati all’estero, purché rispettino criteri di sicurezza. L’ambito della cybersicurezza, d’altra parte, è considerato strategico. Lo stesso Butti sottolinea il valore di una norma che affronta questioni di difesa e sicurezza, oggi centrali nello scenario geopolitico: «Abbiamo fatto un grosso lavoro su questi aspetti. È chiaro che nuove tecnologie risulteranno sempre più determinanti negli equilibri tra democrazie e stati autoritari».

Il ddl assegna un ruolo centrale all’Agenzia per l’Italia Digitale e all’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, responsabili sia dell’attuazione della normativa sia del monitoraggio dei sistemi. Prevista anche la Strategia nazionale sull’IA e un Comitato interministeriale per coordinare fondazioni e soggetti attivi nel settore. «Ho già istituito un comitato presieduto dal professor Gianluigi Greco con 13 docenti – racconta Butti –. Una parte consistente del loro lavoro è stata recepita nel DDL, e la strategia sarà aggiornata ogni due anni, o più spesso se l’evoluzione lo renderà necessario».

Non mancano, tuttavia, le critiche. Diversi osservatori ritengono che la legge sia troppo generica e che le vere regole arriveranno solo con i decreti delegati. «Non è corretto dire che sia generico – replica Butti –. Abbiamo già previsto un miliardo di euro di investimenti pubblici per finanziare startup e progetti innovativi, accorciando la distanza tra ricerca e imprese. Inoltre, abbiamo individuato due agenzie già attive come Acn e Agid che continueranno a svolgere le loro competenze. Quanto all’etica, nel testo ci sono precisi riferimenti etico-sociali coerenti con la Costituzione». Per il senatore Antonio Nicita, vicepresidente del gruppo del Pd in Senato, «mettere 1 miliardo soltanto su un investimento così trasversale e fondamentale dimostra quanto poco il governo creda a questa innovazione e quanto poco si voglia esercitare quel sovranismo digitale tanto sbandierato dalle forze di maggioranza». Un ulteriore punto di discussione riguarda la compatibilità con Bruxelles. Alcune previsioni, come l’obbligo di localizzare i server della pubblica amministrazione sul territorio nazionale, sono state ridimensionate per non entrare in conflitto con la libera circolazione dei dati prevista dal diritto europeo. Per il senatore M5s Luigi Nave, «il confronto con le politiche e gli investimenti annunciati e adottati da altri Paesi quali Francia e Germania risulta ancora una volta disastroso».

Per i sostenitori del provvedimento, tuttavia, l’approvazione del ddl 1146-B rappresenta un passaggio inevitabile. Senza una cornice normativa, viene sottolineato, l’Italia rischiava di restare ferma mentre l’IA corre veloce e già plasma economia, sanità, lavoro e vita quotidiana. Butti lo ribadisce: «Non crediamo di esaurire qui il concetto di IA e innovazione. Ad esempio, non abbiamo inserito le misure sui data center sostenibili, che confluiranno in un altro provvedimento, il decreto difesa — conclude Butti —. Il lavoro resta in evoluzione, ma intanto l’Italia ha finalmente una cornice normativa per muoversi con maggiore sicurezza in un settore che plasmerà non solo economia e salute, ma anche il futuro della democrazia».





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