Dopo mesi di inazione e divisioni, la Commissione europea prova a uscire dall’immobilismo e – alla luce del via libera all’invasione di Gaza City – presenta una proposta di revisione parziale degli Accordi di Associazione Ue-Israele. La mossa, anticipata nel suo discorso sullo Stato dell’Unione dalla presidente Ursula von der Leyen, comprende sanzioni contro ministri estremisti del governo Netanyahu e coloni violenti, oltre all’imposizione di dazi che colpirebbero circa il 37% delle importazioni israeliane in Europa, pari a 5,8 miliardi di euro. Tuttavia, come fa notare Politico, “le opzioni proposte sono più limitate di quelle auspicate da alcuni paesi e funzionari europei”. Inoltre, per approvarle servirà una maggioranza qualificata degli Stati membri: ciò significa che almeno uno dei grandi paesi che finora si sono opposti – Germania o Italia – dovrà sostenerle. L’Alto rappresentante UE per la politica estera Kaja Kallas ha esortato chi frena il processo decisionale a proporre alternative, soprattutto se riconosce che la situazione a Gaza è “insostenibile”. “La mia domanda a tutti i colleghi – ha dichiarato – è questa: se siete d’accordo sulla diagnosi che la situazione è estremamente grave, disastrosa e insostenibile, cosa pensiamo di fare al riguardo?”. Nonostante la proposta sia stata giudicata timida, ha comunque suscitato la dura reazione di Israele: il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar ha accusato von der Leyen di “rafforzare i gruppi terroristici”.
Cosa c’è negli Accordi Ue-Israele?
L’accordo con Israele, in vigore dal 2000, è un patto di ampia portata che comprende cooperazione economica in settori chiave, dialogo politico e commercio. L’articolo 2 impegna Israele a rispettare “i diritti umani e i principi democratici”, una clausola standard negli accordi Ue con i partner esterni. In teoria, se un paese viola questi principi, il blocco europeo può sospendere l’intesa in tutto o in parte. Finora, però, l’Ue non ha mai sospeso un accordo di associazione con alcun partner: si è limitata, nei casi più gravi, ad avviare consultazioni o a riorientare gli aiuti allo sviluppo. Per questo, fino a poche settimane fa, una revisione dell’accordo con Israele era considerata un vero e proprio “tabù diplomatico”. Ma alle pressioni delle piazze, e di paesi come Spagna, Olanda e Irlanda – che hanno già adottato misure unilaterali contro la guerra a Gaza e le violazioni in Cisgiordania – si è aggiunta ora anche la denuncia contenuta nel rapporto Onu della Commissione internazionale d’inchiesta sui territori palestinesi occupati. Secondo il documento, le autorità e le forze di sicurezza israeliane hanno commesso, e continuano a commettere, atti di genocidio contro i palestinesi a Gaza. La Commissione sottolinea inoltre che, anche se la sua analisi è limitata ai palestinesi di Gaza nel periodo successivo al 7 ottobre 2023, essa “solleva comunque la seria preoccupazione che l’intento specifico di distruggere i palestinesi nel loro insieme si sia esteso al resto del territorio palestinese occupato, cioè la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, sulla base delle azioni delle autorità israeliane e delle forze di sicurezza israeliane in quei luoghi, e al periodo precedente il 7 ottobre 2023”.
Cosa prevede la proposta della Commissione?
La proposta presentata oggi a Bruxelles prevede tre misure principali: Sospensione parziale dell’accordo commerciale Ue-Israele, con dazi sul 37% delle importazioni; sanzioni contro i ministri Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, tre coloni, sei organizzazioni di coloni e dieci esponenti di Hamas; sospensione di circa 20 milioni di fondi europei destinati a Israele, con l’esclusione dei programmi per la società civile. Nei fatti, solo quest’ultima misura è immediatamente operativa, perché rientra nei poteri diretti della Commissione. Le altre due, invece, richiederanno il voto a maggioranza qualificata del Consiglio: un passaggio tutt’altro che scontato, viste le posizioni di alcuni Stati membri. Funzionari europei tuttavia riferiscono al sito di notizie Euractiv, che la presidente von der Leyen sarebbe perfettamente consapevole del fatto che le possibilità di far approvare un pacchetto così ambizioso di misure restano esigue. E che la sua proposta, in realtà, miri più al mantenimento della pace all’interno del Collegio di commissari e degli Stati membri, che a sanzionare le azioni di Israele a Gaza. L’iniziativa, inoltre, si inserisce in un contesto politico delicato. Von der Leyen si prepara ad affrontare due mozioni di sfiducia al Parlamento europeo previste ad ottobre.
Sanzioni sì o no?
Da mesi gli attivisti per i diritti umani invocano la sospensione totale delle relazioni commerciali con Israele. Ma indipendentemente dalla volontà o meno della Commissione, questo scenario è irrealizzabile, perché richiederebbe l’unanimità dei Ventisette, inclusi Ungheria, Germania e Italia, tra i più convinti sostenitori di Tel Aviv. L’esecutivo europeo ha quindi optato per una formula intermedia: la sospensione parziale di alcune disposizioni sugli scambi, la ricerca, la cultura e il dialogo politico. Per approvarla serve una maggioranza qualificata, cioè almeno 15 paesi che rappresentino il 65% della popolazione dell’Unione. Sarà dunque il Consiglio Ue, con voto a maggioranza dei due terzi, ad avere l’ultima parola. A maggio, una prima richiesta di revisione avanzata dai Paesi Bassi, si era già arenata. Da allora, la crisi umanitaria a Gaza è precipitata, e ora l’offensiva di terra israeliana a Gaza City di peggiorare ulteriormente la situazione. In questo contesto, l’Ue non solo propone misure deboli, ma resta senza un piano credibile per affrontare l’emergenza umanitaria imminente. Ancora una volta, il contrasto con la reazione all’invasione russa dell’Ucraina è evidente: in quel caso, Bruxelles ha garantito in tempi rapidi protezione temporanea a centinaia di migliaia di profughi. Per Gaza invece, al di là delle dichiarazioni, la paralisi continua.
Il commento
Di Valeria Talbot, Head ISPI MENA Centre
“A prescindere da quale sarà il risultato, il voto in seno alla UE difficilmente passerà alla storia. Un eventuale superamento delle divisioni tra gli stati membri, per nulla scontato vista la distanza tra le diverse posizioni, avrebbe infatti una valenza prevalentemente simbolica. Nei fatti, inciderebbe poco o nulla sulle posizioni del governo Netanyahu e sulla sua determinazione a continuare la guerra a Gaza”.
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