Opinioni | Atenei, sfide ed opportunità tra collaborazione e competizione | Corriere.it


Nei prossimi anni il sistema universitario italiano dovrà affrontare un cambio d’epoca caratterizzato da sfide impegnative e dal nascere di nuove opportunità. Le principali sfide derivano dal termine della spinta finanziaria del PNRR, dall’impatto negativo del trend demografico che comincerà ad investire le immatricolazioni, dalla crescente rilevanza dell’innovazione tecnologica e delle infrastrutture di didattica e di ricerca.

Tali sfide potranno essere vinte e trasformate in opportunità se gli atenei sapranno muoversi non solo come entità singole che concorrono fra di loro nell’attrazione delle risorse, ma collaborando fra di loro e con la società per creare un ecosistema della ricerca e dell’innovazione che consenta di lavorare e investire insieme, o per cluster, per aumentare l’attrattività nazionale delle risorse umane, finanziarie e tecnologiche.

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In altri termini gli atenei dovranno imparare a coopetere, ovvero a saper contemporaneamente collaborare e competere: la coopetizione universitaria è infatti la strategia per cui si collabora in modo da ottenere benefici comuni in alcune aree pur continuando a competere in altri ambiti, creando un gioco a somma positiva senza rinunciare alle loro caratteristiche distintive. Esempi di tale strategia sono la collaborazione nella ricerca scientifica, la realizzazione di programmi didattici o di infrastrutture, la dimensione internazionale.

La coopetizione universitaria si sviluppa infatti in ambiti dove le università sono simultaneamente concorrenti e partner. Un primo esempio riguarda la ricerca e l’innovazione, con la necessità di collaborazione in progetti nazionali e internazionali (Horizon Europe, PRIN, PNRR). Oppure attraverso la creazione di veicoli per la realizzazione di grandi infrastrutture scientifiche, o più semplicemente attraverso la condivisione di laboratori, attrezzature e risorse di ricerca, al fine di saturarne la capacità produttiva e di ottimizzare il costo finale. Non mancano spunti simili nella terza missione e nel trasferimento tecnologico, con la cooperazione negli incubatori di impresa, nella gestione di spin-off o start-up, nell’impatto pubblico.

Il secondo ambito è sicuramente la didattica e l’offerta formativa, con creazione di joint degrees e doppie lauree, quale ulteriore qualificazione dei percorsi di studio. Oppure attraverso il lavoro comune nei dottorati nazionali o interuniversitari e negli accordi per la mobilità di docenti, studenti e staff (Erasmus+, alleanze universitarie europee). La dinamica negativa delle nascite, oltre che la vocazione naturale degli atenei, potrebbe spingere finalmente allo sviluppo di un’attività più organizzata di formazione professionale post lauream, anche a favore delle imprese.

Cruciale è anche la collaborazione nei ranking e nella reputazione internazionale, facendo leva, oltre che sulla qualità della ricerca, su servizi agli studenti e infrastrutture comuni, collaborazioni territoriali (es. campus condivisi, biblioteche, trasporti) tra università vicine e la partecipazione a reti e alleanze strategiche tra atenei europei. Imparare a collaborare di più vorrà dire salvaguardare la missione istituzionale degli atenei, che dovranno affrontare un’arena sempre più competitiva. Tuttavia la capacità di collaborazione può essere resa più facile da alcune condizioni.

La prima condizione è l’incentivazione finanziaria, per esempio attraverso l’integrazione degli attuali criteri competitivi del fondo di finanziamento ordinario con criteri che premino anche progetti di collaborazione, tenendo in conto i risultati raggiunti. La seconda condizione riguarda l’uso delle risorse dei progetti di ricerca e di didattica da parte degli atenei stessi, passando dalla gestione “per partita di giro”, per cui tutte le risorse ricevute vengono spese nel progetto medesimo perché i costi generali sono finanziati dalla finanza pubblica, al concetto di “gestione economica”, per cui i progetti stessi devono generare risorse per la copertura di parte dei costi generali e per il finanziamento dello sviluppo.

Queste due condizioni, unite al finanziamento pubblico e ad una semplificazione della regola amministrativa e dal potenziamento dei sistemi di controllo economico, potrebbero consentire al sistema universitario italiano di attrarre maggiori talenti e finanziamenti, e di indirizzare maggiormente le finanze pubbliche al sostegno dell’accesso e del diritto allo studio.
Questi temi verranno messi a fuoco dal 22° convegno nazionale del CoDAU, l’associazione che riunisce i direttori generali e i dirigenti degli atenei italiani, che si riuniranno a Milano dal 17 al 19 settembre, presso le università Bocconi e Cattolica.

          L’autore è Presidente del CoDAU e DG dell’Università di Padova

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16 settembre 2025



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