Draghi, il profeta inascoltato dall’Ue, l’unico «successo»: i soldi ai militari


A un anno dalla presentazione del rapporto che avrebbe dovuto salvare l’Europa ieri Mario Draghi ha constatato quanto le sue prediche sono inutili. L’ex di molte cose (presidente del consiglio di Bankitalia o della Bce, per esempio) si è presentato accanto alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen nell’apprezzata veste del riformista illuminato ma incompreso dall’Europa burocratica che non corre al ritmo della concorrenza tra gli imperialismi mondiali che si affrontano in un regime di guerra.

Quella vista ieri a Bruxelles è stata una commedia degli equivoci. Draghi ha impartito una lezione cruda e realistica, bocciando quello che ha fatto, e soprattutto non ha fatto, la Commissione von der Leyen. «Grazie Mario per quello che hai detto» ha risposto quest’ultima. Draghi, in effetti, ha fatto un contro-discorso drammatico rispetto a quello, mediocre, di von der Leyen al parlamento europeo la settimana scorsa. In altre parole le ha dato qualche contenuto.

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Solo negli ultimi mesi von der Leyen ha fatto una serie di disastri politici. Il peggiore è avere rafforzato la strutturale subalternità politica ed economica dei paesi dell’Unione Europea rispetto agli Stati Uniti di Trump. Lo dimostra la resa unilaterale sui dazi che è stata accompagnata da tre condizioni: i paesi Ue, e della Nato, devono aumentare la spesa militare al 5% del Pil entro dieci anni in gran parte da destinare agli Usa; acquistare 750 miliardi di euro in gas Usa; investire 600 miliardi nelle industrie Usa entro la scadenza del mandato di Trump.

Draghi ha sorvolato su questi atti di sottomissione ma ha dato una spiegazione plausibile della subalternità che hanno spinto von der Leyen a farli. Bruxelles è stata costretta ad accettare i dazi alle condizioni decise da Trump perché è dipendente dagli Usa. Una tesi del genere è impronunciabile per von der Leyen, come del resto per i suoi mandanti, cioè i governi. Draghi ha fatto il loro ventriloquo.

Sulla partita dell’approvvigionamento energetico dell’Europa dopo avere chiuso i rubinetti del gas di Putin, Draghi ha detto alcune verità, anche se non si è soffermato sull’accordo capestro sul gas naturale liquido Usa. «I prezzi dell’energia elettrica industriale sono, in media, più che raddoppiati e, a meno che questo divario non si riduca, la transizione verso un’economia ad alta tecnologia subirà una battuta d’arresto» ha detto. Per Draghi il costo del gas naturale in Europa è quattro volte superiore a quello Usa. Il problema però è che l’Europa ha accettato di acquistare gas Usa a prezzi superiori rispetto al gas russo e in quantità superiori sia alla capacità produttiva Usa, che a quella di stoccaggio e di consumo europea. Il costo sarà scaricato sulle bollette già salate di famiglie e imprese.

Il problema dell’accordo sui dazi è stato affrontato anche in un altro modo da Draghi. «Il gap commerciale che ha l’Ue con la Cina l’anno scorso è aumentato del 20%- ha detto – La capacità dell’Ue di rispondere alle sfide è limitata dalle sue dipendenze, e questa è una delle motivazioni per cui abbiamo dovuto accettare l’accordo sui dazi con gli Usa».

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Draghi ha proseguito la sua battaglia contro i cosiddetti «dazi interni» tra i paesi europei che ha fatto breccia tra le destre impegnate nella battaglia sia contro il Green Deal (neutralizzato da von der Leyen) sia in quella per una nuova dose fatale di liberalizzazione dei mercati a danno di consumatori e di lavoratori. Per Draghi sono le barriere del mercato unico che impediscono a start up e imprese di godere dei benefici dell’intelligenza artificiale.

Più che altro è stata la cinquantennale assenza dei capitali di rischio, oltre che di un mercato unico dei capitali, ad avere impedito la nascita di un mercato digitale paragonabile a quelli Usa o cinese. Senza contare che la produttività non si alza mantenendo bassi i salari, questione nota allo stesso Draghi.

Questi problemi nemmeno si pongono oggi. Avere accettato, pur senza poterli garantire, di investire 600 miliardi negli Usa è la prova che i rapporti di forza tra Bruxelles e Washington sono lontani da quanto auspicato dal piano di Draghi sull’aumento della produttività.

Von der Leyen ha incassato le critiche con una dose di ipocrisia e ha promesso un cambio di passo su energia (nucleare),intelligenza artificiale e «difesa». Quest’ultimo è l’unico settore in cui si sta veramente facendo qualcosa. Soldi ai militari e fare a pezzi il Welfare. Quello che Draghi vorrebbe «proteggere» con una visione idealistica di un Europa che non c’è.



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