Dietro le lodi del FMI all’Italia si nasconde una manovra lacrime e sangue. La richiesta di un avanzo del 3% si tradurrà in tagli e tasse per tutti.
Le parole diplomatiche del Fondo Monetario Internazionale sull’Italia sono un classico esempio di “bastone e carota”, con una carota molto piccola e un bastone pesantissimo. Dietro i complimenti di facciata per la “resilienza” dell’economia e la “rigorosa attuazione” del Pnrr, si cela la vera richiesta: una manovra correttiva monstre, una stangata che colpirà al cuore le politiche economiche del governo e le tasche dei cittadini. L’obiettivo, apparentemente tecnico, di raggiungere un avanzo primario del 3% del Pil entro il 2027 si traduce in un messaggio politico brutale: basta bonus fiscali, stop alla flat tax.
Si apre la stagione dei sacrifici, imposta dall’esterno, che metterà a dura prova la tenuta sociale del Paese.
Il messaggio del Fondo Monetario Internazionale all’Italia
Il vero messaggio del FMI non è contenuto nelle lodi, ma in un numero: 3%. Questa è la soglia di avanzo primario (la differenza tra le entrate e le uscite dello Stato, al netto della spesa per interessi sul debito) che l’Italia è chiamata a raggiungere entro il 2027. Partendo dall’attuale 0,4%, si tratta di una correzione dei conti pubblici colossale, quantificabile in circa 57 miliardi di euro. Non è un “suggerimento”, come viene eufemisticamente definito, ma una prescrizione di austerità senza precedenti recenti. Il Fondo, pur senza dirlo esplicitamente nel suo comunicato, indica la strada: tagliare drasticamente le agevolazioni fiscali, archiviando definitivamente misure espansive e popolari come i bonus fiscali per l’edilizia e l’idea stessa di una flat taxgeneralizzata. È una richiesta di totale inversione a U rispetto agli impegni elettorali della maggioranza.
Perché le lodi del FMI sono una cortina fumogena?
La strategia comunicativa del FMI è raffinata. Si inizia elogiando i risultati ottenuti: l’economia ha mostrato “resilienza”, gli investimenti legati al Pnrr hanno sostenuto la crescita e il mercato del lavoro ha registrato “buoni risultati”. Questa premessa positiva serve a legittimare la richiesta successiva, ben più dolorosa. È una tecnica classica per ammorbidire l’impatto di una notizia terribile. Subito dopo i complimenti, infatti, arriva la lista dei problemi strutturali irrisolti: la bassa produttività, la carenza di personale qualificato, l’invecchiamento della popolazione e, soprattutto, l’enorme esposizione dell’economia italiana alle tensioni commerciali internazionali. Le lodi servono quindi a dire: “Avete fatto bene i compiti, ma ora inizia l’esame vero, e sarà durissimo”.
Quali sono i rischi nascosti dietro le previsioni di crescita?
Il quadro dipinto dal FMI per il futuro prossimo è tutt’altro che roseo, e questo rende la richiesta di austerità ancora più paradossale e pericolosa. Le previsioni indicano un netto rallentamento della crescita allo 0,5% per quest’anno, con una timida ripresa allo 0,8% nel 2026. La ragione è semplice: la nostra economia, fortemente orientata all’export, è una delle più esposte agli effetti dei nuovi dazi e delle guerre commerciali. In un contesto di crescita quasi stagnante, imporre una stretta fiscale da 57 miliardi di euro è una ricetta per la recessione. Tagliare bonus e aumentare la pressione fiscale in un momento di debolezza economica significa deprimere ulteriormente la domanda interna, colpendo consumi e investimenti privati e rischiando di avvitare il Paese in una spirale di stagnazione economica.
Chi pagherà il conto della manovra imposta dal FMI?
Il conto di questa gigantesca correzione sarà pagato interamente dai cittadini e dalle imprese italiane. La fine dei bonus fiscali non è un concetto astratto: significa fermare un settore, come quello dell’edilizia e della riqualificazione energetica, che ha contribuito in modo determinante alla crescita degli ultimi anni. L’abbandono del progetto flat tax colpisce le partite IVA e il ceto medio produttivo. Per raggiungere un avanzo primario del 3% non ci sono alternative: il governo sarà costretto a una combinazione di tagli alla spesa pubblica (sanità, istruzione, servizi) e aumenti delle imposte. La sfida lanciata dal FMI non è una discussione tecnica per addetti ai lavori, ma un ultimatum che scaricherà i costi del riequilibrio del debito pubblico sulla vita quotidiana di milioni di famiglie, mettendo a rischio la coesione sociale del Paese.
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