Gabriella Marchioni Bocca: “Portiamo in 60 Paesi le lame made in Leini. Temo i dazi all’India”


Le chiamano «lame a spaccare»: punte d’acciaio lunghe fino a quindici metri che, da una fabbrica alla periferia di Torino, hanno portato nel mondo un pezzo di Made in Italy. «Nel processo produttivo le pelli, che possono essere spesse fino a un centimetro, vengono divise in due strati. È un passaggio indispensabile per ottenere un prodotto finito di alta qualità», racconta Gabriella Marchioni Bocca, 61 anni, alla guida della Lamebo di Leini, fondata dai genitori nel 1969. «Nel 2025 prevediamo una quota di export tra il 55 e il 60%. Solo nel primo semestre abbiamo lavorato con circa 60 Paesi, oltre all’Italia che resta il nostro mercato principale insieme a India e Brasile», aggiunge la manager, dal 2024 vicepresidente dell’Unione Industriali Torino con delega all’Europa.

Il vostro è un settore esposto sia alle dinamiche internazionali dei prezzi delle materie prime sia ai dazi. Che impatto hanno le tensioni di queste settimane?

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«Il comparto conciario e calzaturiero è di nicchia ma altamente globalizzato. Un’azienda piccola come la mia ha contatti con 105 Paesi. Dopo mesi di fiere internazionali, da Hong Kong a Nuova Amburgo in Brasile, ho riscontrato crescente difficoltà nella programmazione produttiva e negli approvvigionamenti: il continuo susseguirsi di annunci cambia radicalmente lo scenario operativo. Per noi pesano molto i dazi imposti all’India: per questo è positivo che, nel colloquio recente tra la premier Meloni e il primo ministro Modi, sia emersa la possibilità di un rafforzamento della collaborazione, anche attraverso il Corridoio India-Medio Oriente-Europa».

Quali sono i mercati su cui puntano i vostri clienti per diversificare il rischio?

«Vediamo crescere il Vietnam, dove i costruttori di automobili stanno investendo, e registriamo movimento nell’Africa subsahariana. Ma un vero picco, in un settore così globalizzato, è raro che arrivi in un solo anno. A pesare di più sono i conflitti, la mancanza di liquidità delle controparti e i cambiamenti nello stile di vita post-Covid, soprattutto tra le nuove generazioni».

Molti imprenditori temono che la spinta europea sulla sostenibilità e le regole ambientali possano rallentare la produzione o aumentare i costi. Dal suo punto di osservazione, queste preoccupazioni sono fondate? Che cosa chiedete all’Europa per una transizione “giusta” per le Pmi?

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«La pelle è un materiale di riciclo, scarto della produzione alimentare che viene valorizzato e riutilizzato al 100%. Non credo sia la spinta europea alla sostenibilità a rallentare le produzioni, ma il modo in cui viene interpretata dalla burocrazia a ogni livello. Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, Ursula von der Leyen ha messo al centro la neutralità tecnologica, finalmente verrebbe da dire. Ma non si tratta solo di emissioni o adempimenti: per una transizione davvero giusta occorre semplificare la vita alle piccole e medie imprese. Anche noi Pmi abbiamo già investito nella transizione, non solo i grandi gruppi: tutti gli imprenditori che conosco sono attenti al territorio e a evitare sprechi, incentivando sistemi economici circolari».

Energia e materie prime restano uno snodo cruciale per la manifattura. Cosa vi aspettate dal governo italiano?

«L’unica misura seria ed efficace è una politica industriale, europea e italiana, a tutto tondo, che metta al centro l’azienda e il benessere di chi ci lavora. Questo vale doppiamente per un Paese manifatturiero e di trasformazione come il nostro. Se devo indicare tre priorità: disaccoppiare il costo dell’energia da quello del gas, migliorare la qualità del lavoro attraverso formazione e aggiornamento professionale e, a lungo termine, mettere a terra le riforme — soprattutto del welfare — per iniziare a invertire le dinamiche demografiche negative che ci accompagnano da decenni».

Qual è ora la priorità per il tessuto delle pmi piemontesi?

«Una formazione migliore e più vicina alle esigenze delle imprese, a tutti i livelli. Perché in questo momento siamo in difficoltà nel reperire il personale, e il calo demografico certamente non aiuta».



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