«Non ci sono soldi per tutto»


Aosta, festa della Lega: il ministro mette i paletti parlando di “quadro complicato” per inflazione, guerra e impegni Nato. Tra le promesse mancate anche gli sgravi per famiglie e lavoratori

Un bagno di realtà che arriva proprio dal cuore della maggioranza. Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, da Aosta ha spento in poche frasi l’entusiasmo dei suoi alleati sul prossimo giro di manovra finanziaria: «La rottamazione delle cartelle e la riduzione delle aliquote fiscali al ceto medio costituivano un quadro su cui c’era una sicurezza. Ma, lo dico con franchezza, si è complicato un po’ con tutte le vicende internazionali divampate in questi mesi».

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Tradotto: le casse dello Stato non reggono l’urto delle promesse. E non è solo un problema di conti: a soffocare i margini di manovra ci sono la guerra in Ucraina, l’inflazione energetica e la richiesta Nato di aumentare la spesa militare fino al 5% del Pil entro il 2035.

Secondo i calcoli più prudenti, le richieste messe sul tavolo da Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega ammontano a oltre 30 miliardi di euro. Una cifra che oggi appare pura fantascienza. Taglio dell’Irpef dal 35 al 33% per i redditi fino a 60 mila euro, sconti sugli straordinari, sgravi per le famiglie, nuovi incentivi alle imprese, social card da rifinanziare, rottamazione delle cartelle come chiede Salvini: la lista è lunghissima e si allunga di giorno in giorno.

Il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha chiesto di reintegrare i fondi per le tv locali. Antonio Tajani, vicepremier e leader di Forza Italia, spinge invece per alleggerire i contributi sui redditi bassi. Intanto c’è già chi ricorda che nel 2026 bisognerà rifinanziare la card “Dedicato a te”, quest’anno costata 500 milioni di euro. Tutto insieme diventa ingestibile.

«Non dipende dal governo – ha sottolineato Giorgetti – ma la guerra ha un costo. Direttamente, per gli aiuti finanziari all’Ucraina; indirettamente, per la fiammata dei prezzi dell’energia che ha gonfiato l’inflazione. Recuperare gas o altre fonti energetiche oggi costa molto di più. E poi c’è la pressione internazionale sugli impegni Nato: dal 2% scarso al 5% della spesa militare. Parliamo di 100 miliardi in più nell’arco di dieci anni, nove-dieci miliardi all’anno. Uno sforzo enorme».

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La doccia fredda del titolare del Mef non risparmia nessuno, nemmeno la Lega, il suo partito. Salvini insiste sulla rottamazione, ma Giorgetti non si sbilancia. Anzi, prende tempo e parla di un quadro da “ridefinire” alla luce delle tensioni globali. Un modo per dire che la coperta è corta e che ogni euro andrà pesato.

Il problema non è solo di risorse. Negli ultimi anni i margini di flessibilità del bilancio si sono ridotti e le clausole europee di disciplina fiscale tornano a farsi sentire. Con l’Italia che già oggi deve dimostrare ai mercati e a Bruxelles di saper mantenere il debito sotto controllo. «Io voglio che vada bene l’Italia e sono fiducioso che il lavoro impostato possa produrre risultati positivi – ha detto il ministro rispondendo a una domanda sul declassamento del rating francese –. Non c’è da godere per le disgrazie altrui. Il nostro rating è stato consolidato, vogliamo migliorarlo ancora».

Ma intanto gli alleati fremono. Per Fratelli d’Italia è irrinunciabile il taglio dell’Irpef. Per Forza Italia, lo sgravio sui contributi dei lavoratori più fragili. Per la Lega, la rottamazione fiscale. E ognuno cerca di intestarsi la misura bandiera, con l’occhio già alle prossime campagne elettorali. Il rischio, però, è che la manovra finisca col ridursi a un elenco di buone intenzioni, svuotate dalla mancanza di coperture.

«Favorire il ceto medio, aiutare le famiglie, sostenere i redditi più bassi è un obiettivo condiviso – riconosce Giorgetti – ma in concreto non tutto si potrà fare». Dietro la prudenza delle parole c’è il timore di dover scrivere una legge di bilancio amarissima: pochi margini, tante rinunce, molte aspettative deluse.

La stessa Cisl, nei giorni scorsi, ha calcolato che anche gli ultimi incrementi contrattuali non hanno recuperato l’erosione inflattiva. E che i salari restano di nove punti sotto i livelli reali del 2019. In questo scenario, ogni promessa politica rischia di sembrare stonata.

Il governo Meloni, che a parole rivendica stabilità e coesione, si trova davanti alla prova più difficile: scrivere una manovra senza soldi, con richieste da 30 miliardi e con la guerra che continua a bruciare risorse. Giorgetti, ieri, ha alzato il velo: il tempo delle illusioni è finito.



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