L’atto di indirizzo del Viceministro del MEF Maurizio Leo, pubblicato il 1° luglio 2025 (prot. n. 18), dopo aver ripercorso il dettato normativo di riferimento e individuato alcune regole in ordine ai diversi presupposti per distinguere i crediti di imposta inesistenti da quelli non spettanti (aspetto che rileva, sia sotto il profilo dei termini entro i quali l’Amministrazione finanziaria può procedere al recupero dei suddetti crediti, sia sotto il profilo delle sanzioni penali e amministrative applicabili), punta dritto ai crediti d’imposta per attività di ricerca, sviluppo, innovazione tecnologica, design e innovazione estetica, offrendo interessanti spunti di interesse in ordine al valore da attribuire alla certificazione relativa alla qualificazione delle spese effettuate dall’impresa.
L’atto di indirizzo in tema di crediti d’imposta non spettanti o inesistenti del Viceministro del MEF Maurizio Leo, pubblicato il 1° luglio 2025 (prot. n. 18), interviene dopo che l’art. 1, D.Lgs. n. 87/2024, ha introdotto nell’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 74/2000, le lett. g-quater) e g-quinquies), con le quali trovano definizione, rispettivamente, le nozioni di crediti “inesistenti” e “non spettanti” ai fini della configurazione del reato di “indebita compensazione”, di cui all’art. 10-quater, D.Lgs. n. 74/2000.
In questo contributo, dopo aver indicato le regole essenziali, che possono consentire di avere con immediatezza un quadro chiaro, analizziamo le indicazioni diramate dal MEF, soffermandoci sulla valorizzazione del ruolo della certificazione attestante la qualificazione degli investimenti, di cui all’art. 23, comma 2, D.L. n. 73/2022, conv. con modif. nella Legge n. 122/2022, introdotta al fine di prevenire l’insorgere di controversie sulla qualificazione delle spese effettuate dall’impresa[1].
Breve excursus
Il quadro normativo in tema di recupero, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dei crediti d’imposta indebitamente compensati dai contribuenti è stato nel corso degli ultimi anni molto frastagliato e per certi versi disorganico, pur se spinto dalla continua ricerca di distinguere con nettezza i crediti inesistenti da quelli non spettanti e normare in maniera compiuta e organica il procedimento di recupero dei crediti.
La distinzione tra inesistenza e non spettanza rileva, in particolare, sia sotto il profilo dei termini entro i quali l’Amministrazione finanziaria può procedere al recupero dei suddetti crediti, sia sotto il profilo delle sanzioni penali e amministrative applicabili nei confronti del contribuente che abbia proceduto a una indebita compensazione.
Nonostante l’intervento delle Sezioni Unite civili della Cassazione – sent. n. 34419/2023[2] – che ha composto il contrasto che si era venuto a determinare (secondo un primo più risalente e maggioritario orientamento tra le nozioni di “credito inesistente” e “credito non spettante” non vi sarebbe alcuna differenza[3]; secondo un secondo orientamento[4], la precedente interpretazione deve essere necessariamente superata anche per effetto della novella operata dal D.Lgs. n. 158/2015, non tanto e non già perché quest’ultima sia direttamente applicabile alla fattispecie, ratione temporis, bensì perché nella stessa definizione positiva di “credito inesistente” può rinvenirsi «la conferma della dignità della distinzione delle due categorie in discorso, già sulla base dell’originario impianto normativo concernente la riscossione dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati»[5]), le criticità esegetiche riscontrate e i diversi indirizzi sviluppatisi in ordine alla predetta distinzione non hanno trovato una loro composizione.
E ciò ha indotto il Legislatore a conferire delega al Governo per rivedere le disposizioni concernenti l’indebita compensazione di crediti inesistenti e non spettanti, sia sul piano definitorio che sul piano del regime sanzionatorio previsto per le 2 distinte fattispecie.
La Legge delega tradotta nel D.Lgs. n. 87/2024: le nuove definizioni
L’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 87/2024 – dando attuazione all’art. 20, comma 1, lett. a), n. 5), Legge n. 111/2023, che ha delegato il Governo a «introdurre, in conformità agli orientamenti giurisprudenziali, una più rigorosa distinzione normativa anche sanzionatoria tra le fattispecie di compensazione indebita di crediti di imposta non spettanti e inesistenti» – ha formulato una nuova definizione di crediti “inesistenti” e ha introdotto, per la prima volta, una nozione esplicita di crediti “non spettanti”, collocando le nuove definizioni rispettivamente nell’art. 1, lett. g-quater) e g-quinquies), D.Lgs. n. 74/2000.
Le nuove definizioni | |
Crediti inesistenti | Crediti non spettanti |
Si intendono i crediti per i quali mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento e i crediti per i quali tali requisiti sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici. | Si intendono i crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella prevista dalla normativa di riferimento; i crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito; e i crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi, espressamente indicati a pena di decadenza. |
Le riportate definizioni, pur trovando collocazione nell’ambito del D.Lgs. n. 74/2000, in tema di reati tributari, giocano anche in tema di sanzioni tributarie amministrative, poiché il novellato art. 13, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997, richiama e fa proprie le definizioni penali.
Il regime sanzionatorio
Sotto il profilo sanzionatorio, ai fini penali – art. 10-quater, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 74/2000 – rimane sempre per entrambe le fattispecie, la medesima soglia di 50.000 euro, mentre diverge la pena.
Le sanzioni penali | |
Crediti inesistenti | Crediti non spettanti |
È punito con la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. n. 241/1997, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai 50.000 euro. | È punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. n. 241/1997, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a 50.000 euro. La punibilità dell’agente è esclusa quando, anche per la natura tecnica delle valutazioni, sussistono condizioni di obiettiva incertezza in ordine agli specifici elementi o alle particolari qualità che fondano la spettanza del credito. |
Quanto alle sanzioni amministrative per l’indebita compensazione di crediti inesistenti, l’art. 13, D.Lgs. n. 471/1997, distingue 2 fattispecie, il cui discrimine va individuato nella causa genetica dell’inesistenza del credito.
Le sanzioni amministrative |
Per l’utilizzo di crediti per i quali difettano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, si applica la sanzione pari al 70% dell’importo del credito utilizzato in compensazione. |
Nel caso di utilizzo di un credito i cui requisiti oggettivi e soggettivi sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni e artifici, la sanzione è pari al 70% del credito utilizzato in compensazione, aumentata dalla metà al doppio. |
L’indebita compensazione di crediti non spettanti è punita con la sanzione amministrativa pari al 25% dell’importo del credito utilizzato in compensazione; sanzione che si applica anche quando il credito è utilizzato in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi non previsti a pena di decadenza e le relative violazioni non sono state rimosse, entro i termini stabiliti dal comma 4-ter, dello stesso art. 13, D.Lgs. n. 471/1997. Si applica, invece, la sanzione fissa di 250 euro per le fattispecie di utilizzo in compensazione dei crediti in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi di carattere strumentale – sempre che tali adempimenti non siano previsti a pena di decadenza – a condizione che la violazione commessa sia rimossa entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi relativa all’anno di commissione della violazione, ovvero, in assenza di una dichiarazione, entro 1 anno dalla commissione della violazione medesima. |
L’atto di recupero dei crediti d’imposta
Ai sensi del nuovo art. 38-bis, D.P.R. n. 600/1973 – titolato “Atti di recupero” —, per il recupero dei crediti sia non spettanti che inesistenti, l’Agenzia delle Entrate applica le seguenti regole, in deroga alle disposizioni vigenti.
Atti di recupero | |
a) Regole | Fermi restando le attribuzioni e i poteri previsti dagli artt. 31 ss., nonché quelli previsti dagli artt. 51 ss., D.P.R. n. 633/1972, e senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi, per la riscossione dei crediti non spettanti o inesistenti utilizzati, in tutto o in parte, in compensazione ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. n. 241/1997, l’ufficio può emanare apposito atto di recupero motivato da notificare al contribuente con le modalità previste dagli artt. 60 e 60-ter, D.P.R. n. 600/1973. La disposizione non si applica alle attività di recupero delle somme di cui all’art. 1, comma 3, D.L. n. 36/2002, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 96/2002[6], e all’art. 1, comma 2, D.L. n. 282/2002, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 27/2003[7]. |
b) definizione agevolata delle sanzioni | Si applicano le disposizioni di cui agli artt. 16, comma 3[8], e 17, comma 2[9], D.Lgs. n. 472/1997 (definizione delle sole sanzioni). |
c) termini di notifica | L’atto emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti non spettanti e inesistenti, di cui all’art. 13, commi 4 e 5, D.Lgs. n. 471/1997, utilizzati, in tutto o in parte, in compensazione ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. n. 241/1997, deve essere notificato, a pena di decadenza, rispettivamente, entro il 31 dicembre del 5° anno e dell’8° anno successivo a quello del relativo utilizzo. |
d) modalità di pagamento | Il pagamento delle somme dovute deve essere effettuato per intero entro il termine di presentazione del ricorso, senza possibilità di avvalersi della compensazione prevista dall’art. 17, D.Lgs. n. 241/1997[10]. In caso di mancato pagamento entro il suddetto termine, le somme richieste in base all’atto di recupero, anche se non definitivo, sono iscritte a ruolo ai sensi dell’art. 15-bis, D.P.R. n. 602/1973 (cioè, mediante iscrizione a ruolo straordinaria a titolo definitivo). |
e) competenza | La competenza all’emanazione degli atti emessi prima del termine per la presentazione della dichiarazione, spetta all’ufficio nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto per il precedente periodo di imposta. |
f) contenzioso | Per le controversie relative all’atto di recupero si applicano le disposizioni previste dal D.Lgs. n. 546/1992. |
g) disposizione di chiusura | In assenza di specifiche disposizioni, le lett. a), b), d), e f), si applicano anche per il recupero di tasse, imposte e importi non versati, compresi quelli relativi a contributi e agevolazioni fiscali indebitamente percepiti o fruiti ovvero a cessioni di crediti di imposta in mancanza dei requisiti. Fatti salvi i più ampi termini previsti dalla normativa vigente, l’atto di recupero deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del 5° anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione. La competenza all’emanazione dell’atto di recupero spetta all’ufficio nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto al momento della commissione della violazione. In mancanza del domicilio fiscale la competenza è attribuita a un’articolazione dell’Agenzia delle Entrate individuata con Provvedimento del Direttore. |
Ricordiamo che l’art. 21, D.Lgs. n. 81/2025, ha espunto dall’art. 1, D.Lgs. n. 218/1997, le parole «non dipendente da un precedente accertamento», allargando il raggio di azione degli atti definibili. Infatti, può essere oggetto di adesione l’accertamento delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché il recupero dei crediti comunque indebitamente compensati.
Si rileva, altresì, che l’art. 7-bis, inserito in sede di conversione in Legge n. 67/2024, del D.L. n. 39/2024, interpreta il comma 1, art. 6-bis, Legge n. 212/2000 (norma con la quale è stato introdotto il contraddittorio preventivo), nel senso che esso si applica esclusivamente agli atti recanti una pretesa impositiva, autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, ma non a quelli per i quali la normativa prevede specifiche forme di interlocuzione tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente né agli atti di recupero conseguenti al disconoscimento di crediti di imposta inesistenti.
Le opzioni per gli atti di recupero | |
Pagamento integrale | Istanza di adesione |
Ovvero impugnazione | Definizione delle sole sanzioni |
Modalità di pagamento | |
Per intero | Senza compensazione |
Mancato pagamento | Iscrizione a ruolo a titolo definitivo |
L’atto del MEF
In maniera precisa e puntuale, l’atto di indirizzo del MEF del 1° luglio 2025 specifica che l’art. 1, comma 1, lett. g-quinquies), D.Lgs. n. 74/2000, individua 3 tipologie di crediti non spettanti, accomunate dalla circostanza che l’attività oggetto dell’agevolazione è stata comunque effettivamente svolta e il relativo credito non può pertanto considerarsi tout court inesistente.
Tipologie di crediti non spettanti | |
Prima tipologia | «crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza.» |
Seconda tipologia | «crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento». Le «modalità di utilizzo» cui la disposizione fa riferimento possono riguardare sia le tempistiche dell’utilizzo del credito (ad esempio, credito d’imposta fruito in un unico anno anziché con la prevista ripartizione in quote annuali) sia la possibilità o meno di compensazione in funzione del tipo di debito da estinguere (ad esempio, credito d’imposta derivante dall’esercizio delle opzioni di cui all’art. 121, comma 1, D.L. n. 34/2020, conv. con modif. in Legge n. 77/2020, utilizzato da banche o intermediari finanziari in compensazione di debiti previdenziali e assistenziali, in violazione del divieto introdotto dall’art. 4-bis, comma 1, D.L. n. 39/2024, conv. con modif. in Legge n. 67/2024), sia i casi in cui il credito insorto non è stato utilizzato in compensazione ma è stato fatto oggetto di cessione, sia infine i casi in cui il credito sia fruito oltre i limiti di compensazione di cui agli art. 1, comma 53, Legge n. 244/2007, e 34, Legge n. 388/2000. |
Terza tipologia | «crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito». Questa tipologia è quella che più significativamente riguarda i c.d. crediti d’imposta sovvenzionali (ad esempio, i crediti per le attività di ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica, design e innovazione estetica)[11]. Questa tipologia di non spettanza si verifica quando, ferma restando la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi specificamente individuati nella normativa di riferimento, il credito d’imposta difetta di ulteriori elementi o qualità individuate da fonti tecniche di dettaglio non specificamente richiamate dalla normativa, primaria e secondaria, dell’agevolazione. |
L’atto di indirizzo del MEF, a firma del Viceministro Maurizio Leo, ricorda che per favorire la fruizione dei crediti d’imposta in condizioni di certezza operativa ed evitare controversie sulla qualificazione delle spese effettuate dall’impresa, l’art. 23, comma 2, D.L. n. 73/2022, conv. con modif. nella Legge n. 122/2022, ha previsto la possibilità, per le imprese interessate, di chiedere, a soggetti abilitati, una certificazione attestante la qualificazione degli investimenti, sia già effettuati sia ancora da effettuare, al precipuo scopo di farne riscontrare la compatibilità con l’ammissibilità al beneficio fiscale previsto per tali impieghi di risorse. La certificazione, in particolare, può essere chiesta, sempre che eventuali violazioni relative all’utilizzo dei crediti d’imposta non siano state già constatate con processo verbale di constatazione[12], a riscontro di 3 aspetti.
I 3 aspetti | ||
a) qualificazione degli investimenti, effettuati o da effettuare, ai fini della loro classificazione nell’ambito delle attività di ricerca e sviluppo, di innovazione tecnologica e di design e innovazione estetica. | b) qualificazione delle attività di ricerca e sviluppo ai sensi dell’art. 3, D.L. n. 146/2013, conv. con modif. dalla Legge n. 9/2014. | c) qualificazione delle attività di innovazione tecnologica finalizzate al raggiungimento di obiettivi di innovazione digitale 4.0 e di transizione ecologica[13]. |
Il MEF, dal tenore della lettera della norma primaria, desume che il riferimento alla già avvenuta effettuazione degli investimenti ovvero alla loro successiva effettuazione riguardi altresì i casi di cui alle lettere b) e c), sopra indicate.
Al fine di assicurare ai contribuenti la necessaria certezza operativa e prevenire le inevitabili controversie sulla qualificazione delle spese effettuate dall’impresa, il Legislatore ha comunque previsto che, pur rimanendo ferme le ordinarie attività di controllo, la certificazione che attesti la qualificazione degli investimenti effettuati o da effettuare ai fini della loro classificazione nell’ambito delle attività di ricerca e sviluppo, di innovazione tecnologica e di design e innovazione estetica, esplica effetti vincolanti nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, tranne nel caso in cui la certificazione venga rilasciata, sulla base di una non corretta rappresentazione dei fatti, per una attività diversa da quella concretamente realizzata. Diversamente, gli atti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, difformi da quanto attestato nelle certificazioni sono nulli, sempre che eventuali contestazioni siano state già verbalizzate in sede di PVC[14].
Di conseguenza, lo stesso atto di indirizzo auspica che il contribuente che si munisce della certificazione ne dia comunicazione all’Amministrazione finanziaria, anche per evitare eventuali contestazioni unicamente incentrate sotto il profilo della qualificazione tecnica dell’investimento.
[1] Da ultimo, il TAR Lazio, con la sent. 29 luglio 2025 (n. 15039/2025), ha ritenuto che i criteri previsti dal Manuale di Frascati non possano essere applicati retroattivamente al credito d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo (R&S) relative ai periodi d’imposta compresi tra il 2015 e il 2019. Il MIMIT aveva negato la certificazione del credito d’imposta, ritenendo assenti 3 dei 5 requisiti fondamentali previsti nel Manuale di Frascati (novità, sistematicità e riproducibilità dell’innovazione). Mentre, il TAR Lazio ha accolto il ricorso presentato dalla società in applicazione del principio di irretroattività e della gerarchia delle fonti. Per il TAR non è possibile applicare a periodi d’imposta antecedenti nuove fonti regolamentari non vigenti allora e, inoltre, il regime previsto per gli anni 2015–2019 era contenuto nell’art. 3, D.L. n. 145/2013, conv. con modif. in Legge n. 9/2014 e dal D.M. attuativo del 27 maggio 2015 e non richiamava il Manuale di Frascati (fino al 2019 la prassi si riferiva solo al Manuale di Oslo).
[2] In tema di compensazione di crediti o eccedenze d’imposta da parte del contribuente, all’azione di accertamento dell’Erario si applica il più lungo termine di 8 anni, di cui all’art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, conv. in Legge n. 2/2009, quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza – alla luce anche dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, D.Lgs. n. 471/1997, come modificato dal D.Lgs. n. 158/2015 – allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter, D.P.R. n. 600/1973 e all’art. 54-bis, D.P.R. n. 633/1972; ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano i termini ordinari per l’attività di accertamento.
[3] Cass. n. 10112/2017 e Cass. n. 19237/2017; seguite poi da Cass. n. 24093/2020; Cass. n. 354/2021; Cass. n. 31859/2021. Questo orientamento è stato ripreso successivamente con l’ord. Cass. n. 25436/2022.
[4] Cass. n. 34443, 34444 e 34445/2021 e Cass. n. 5243/2023.
[5] In pratica, la distinzione era già sussistente anche prima del 2015.
[6] Crediti d’imposta riconosciuti agli autotrasportatori per gli anni 1992, 1993 e 1994.
[7] Recupero di somme per condanne relative all’indebita fruizione di aiuto di Stato nel settore bancario.
[8] Entro il termine previsto per la proposizione del ricorso, il trasgressore e gli obbligati in solido possono definire la controversia con il pagamento di un importo pari a 1/3 della sanzione indicata e comunque non inferiore a 1/3 dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo. La definizione agevolata impedisce l’irrogazione delle sanzioni accessorie.
[9] È ammessa definizione agevolata con il pagamento di un importo pari a 1/3 della sanzione irrogata e comunque non inferiore a 1/3 dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo, entro il termine previsto per la proposizione del ricorso.
[10] In particolare, nell’atto notificato, viene evidenziato che le somme complessivamente dovute devono essere versate – senza possibilità di compensare – entro il termine di impugnazione, mediante Modello F24, e che in caso di mancato versamento diretto l’ufficio provvede alla riscossione, mediante iscrizione a ruolo straordinaria a titolo definitivo.
[11] E che ha sollevato le maggiori criticità interpretative e applicative.
[12] Cfr. D.P.C.M. 15 settembre 2023 (art. 3).
[13] Ai fini dell’applicazione della maggiorazione dell’aliquota del credito d’imposta prevista dal quarto periodo, comma 203, nonché dai commi 203-quinquies e 203-sexies, art. 1, Legge n. 160/2019.
[14] L’atto di indirizzo auspica, in questi casi, che il contribuente che si munisce della certificazione ne dia collaborativamente comunicazione all’Amministrazione finanziaria, anche per evitare eventuali contestazioni unicamente incentrate sul profilo della qualificazione tecnica dell’investimento.
Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare tributaria”.
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