Solo illusioni europee? Il rapporto Draghi resta sulla carta



Un anno dopo, pochissime misure attuate, pochi investimenti reali, il gap con Usa sempre enorme — Von der Leyen invoca l’«indipendenza» tra droni, difesa e innovazione.

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(Foto: Mario Draghi).

Un anno e niente più che promesse?

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Il documento del settembre 2024, redatto su input dell’ex premier italiano Mario Draghi e dedicato al rilancio della competitività europea, sembrava destinato a segnare una svolta. Ma oggi, a circa dodici mesi di distanza, le sue raccomandazioni — dagli investimenti nella ricerca all’armonizzazione regolatoria — restano perlopiù inattuate. Solo una parte minima è stata tradotta in azioni concrete, mentre diverse misure “a breve termine” non hanno neppure visto l’avvio.

Il ritardo non è solo italiano: tocca l’intera Unione Europea. Le imprese lamentano regole ancora frammentate, innovazione in stallo, infrastrutture insufficienti e, soprattutto, un deficit di investimenti che pesa come un macigno. Il solco con gli Stati Uniti non si accorcia: la differenza nelle spese in R&S, nella capitalizzazione delle aziende e nel peso sui mercati globali resta ampia.


Draghi oltre le carte: cosa chiedeva, cosa resta da fare

Il rapporto aveva tracciato linee chiare: servivano ingenti investimenti annuali per colmare i gap in innovazione, energia pulita, produzione strategica e difesa. Tra le proposte: debito comune per finanziare progetti europei ad alto impatto; semplificazione normativa con meno burocrazia e meno regole sovrapposte; rafforzamento del mercato unico dei capitali; infrastrutture digitali e climatiche all’avanguardia; e una strategia industriale europea orientata all’autonomia strategica.

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Cosa è rimasto indietro? Molti punti sono ancora proposte, non azioni. Le “sandbox” per le imprese non decollano; l’accesso al capitale resta difficile per molte aziende europee, soprattutto nei settori high-tech; e nessuna azienda europea figura nella top ten mondiale per capitalizzazione, mentre la quota dell’UE nel mercato azionario globale è molto inferiore a quella statunitense.


Le parole di von der Leyen: difesa, droni ed Europa indipendente

Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione del 10 settembre 2025, la presidente della Commissione europea ha richiamato con forza l’esigenza di trasformare idee e norme in scala industriale. “L’Ucraina ha l’ingegnosità. Ciò di cui ha bisogno ora è scala industriale”, ha detto Ursula von der Leyen, collegando la ricerca di indipendenza europea a un’alleanza sui droni con Kiev e al rafforzamento dei pilastri tecnologici e difensivi dell’UE.

Il messaggio politico è chiaro: difesa, tecnologia e industria sono tre facce della stessa medaglia. L’Europa non può più essere solo “regolatore”, ma deve tornare “produttore” di innovazione e sicurezza.

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Le sfide reali da affrontare e i rischi dell’inerzia

Finanziamenti insufficienti. Le risorse messe in campo restano ben al di sotto del necessario. Senza più fondi comuni o strumenti simili, molte proposte rimarranno lettera morta.

Regole e burocrazia. Senza un serio sforzo di semplificazione, tempi e costi amministrativi minano la fiducia delle imprese e scoraggiano investimenti privati.

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Mancanza di visione condivisa. Gli Stati membri divergono su priorità, spesa e mix tecnologico. Senza volontà politica, l’Europa rischia di restare un’orchestra in cui ogni strumento suona una melodia diversa.

Pressione competitiva globale. Mentre la Cina accelera e gli Stati Uniti mantengono vantaggi in capitale umano, tecnologia e mercati finanziari, l’UE rischia di arretrare in settori strategici come IA, semiconduttori, energie pulite e difesa.

Tensioni geopolitiche. Guerra, supply chain e dipendenze energetiche richiedono autonomia, resilienza e decisioni rapide. Qui la dimensione industriale della difesa diventa cruciale.


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Che cosa serve da subito

Scadenze e responsabilità chiare. Tradurre le raccomandazioni in piani operativi con milestone verificabili.

Più risorse europee. Bilancio UE, fondi esistenti e nuovi strumenti di finanza comune per progetti su larga scala.

Standard comuni rapidi. Regole coerenti su digitale, clima, sicurezza e intelligenza artificiale, evitando duplicazioni nazionali.

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Incentivi industriali mirati. Sostenere supply chain critiche — batterie, chip, componenti high-tech — con politiche di domanda e offerta.

Cooperazione difensiva anche sul piano industriale: ricerca, produzione e integrazione tra paesi per fare massa critica.


Servono concretezzarisorse e governance.

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Il rapporto Draghi ha indicato la rotta. Ora servono concretezza, risorse e governance. Il richiamo all’“indipendenza europea” non basta senza misure sistemiche: fondi adeguati, regole chiare, mercato dei capitali profondo e un’industria capace di trasformare l’ingegno in prodotti e lavoro. Se l’UE non accelera ora, il costo del ritardo sarà economico e civile. 




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