L’andamento di mutui e prestiti dal 2022 ad oggi — idealista/news


L’analisi dell’andamento dei tassi sui mutui in Italia tra il 2022 e il 2025 mostra in modo chiaro come la politica monetaria della Banca centrale europea si trasmetta – con tempi e modalità diverse – al mercato del credito alle famiglie. Secondo l’analisi di FABI, nella prima fase, quella dei rialzi, la trasmissione è stata rapida e netta. A inizio 2022, con il tasso ufficiale BCE ancora fermo allo 0%, i mutui avevano già un tasso medio dell’1,78%. Nei mesi successivi, pur senza interventi della banca centrale, le banche hanno iniziato ad alzare gradualmente i tassi, anticipando le mosse attese della BCE e portandoli oltre il 2,4% a metà anno. 

Con l’avvio effettivo della stretta monetaria, da luglio 2022 in avanti, la crescita è diventata ancora più marcata: il tasso BCE è arrivato al 4,5% a settembre 2023 e i mutui hanno toccato un picco del 4,92% a novembre, più che raddoppiando in poco più di un anno e mezzo. Questa crescita “più che proporzionale” rispetto ai rialzi ufficiali riflette sia l’aumento del rischio percepito dalle banche sia l’incertezza macroeconomica, oltre agli effetti del quantitative tightening. Il risultato è stato un forte rallentamento del mercato: lo stock complessivo dei mutui si è ridotto da 427 miliardi di euro nel dicembre 2022 a 421 miliardi nel maggio 2024, il livello più basso in due anni.

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Con il cambio di fase, dall’estate 2024, la BCE ha iniziato a tagliare i tassi, riducendoli di 25 punti base a giugno. Da quel momento anche i tassi bancari hanno iniziato a calare, seppur lentamente: dal massimo del 4,92% sono scesi al 3,61% nel luglio 2025. Questo ha contribuito a riattivare la domanda di mutui e lo stock è progressivamente risalito, arrivando a 435 miliardi. Tuttavia, la velocità di questa fase espansiva è stata molto più contenuta rispetto alla precedente restrizione, confermando l’asimmetria tipica dei meccanismi di trasmissione della politica monetaria: i rialzi si trasferiscono subito, i ribassi molto più gradualmente.

Un aspetto interessante è che le banche avevano iniziato ad abbassare i tassi già da gennaio 2024, prima del taglio BCE, riducendoli dal 4,82% a circa il 4% nel primo semestre. Ma dopo settembre 2024 la discesa si è sostanzialmente fermata, lasciando i mutui stabilizzati tra il 3,9% e il 3,6%, nonostante ulteriori riduzioni dei tassi ufficiali fino al 2%. Si è così creato un differenziale costante di oltre un punto e mezzo percentuale, segno di un malfunzionamento della trasmissione.

Le banche, pur beneficiando di un costo della raccolta più basso, non hanno trasferito integralmente questi vantaggi ai clienti finali. Tra le possibili spiegazioni ci sono la scelta prudenziale di mantenere alti i margini di interesse e la domanda ancora debole di credito immobiliare, che ha ridotto la pressione concorrenziale a ribassare i tassi.

Questo scollamento rende la politica monetaria meno efficace: gli stimoli della BCE arrivano solo in parte e con ritardo all’economia reale. Per molte famiglie italiane, soprattutto quelle giovani o con condizioni lavorative precarie, il costo del denaro resta troppo alto per accedere a un mutuo. Ne derivano conseguenze non solo sul benessere delle famiglie stesse, ma anche sulla capacità di rilancio degli investimenti e della crescita. La dinamica osservata tra la seconda metà del 2024 e il 2025 segnala quindi una rottura nel meccanismo di trasmissione, che apre interrogativi importanti per il dibattito economico e per le autorità di vigilanza: come garantire che le decisioni della BCE abbiano effetti equi, rapidi e completi sul credito, evitando che siano i nuclei più vulnerabili a pagare il prezzo di rigidità e inefficienze del sistema bancario.

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