Cnel: in Italia l’economia cresce ma la produttività è stagnante




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L’Italia è al palo da 30 anni sulla produttività. Basti pensare che dalla metà degli anni ‘90 ad oggi la media di crescita della produttività tricolore è stata dello 0,2%. Un valore molto inferiore alla media Ue (1,2%), così come a quella di Germania (1%), Francia (0,8%) e Spagna (0,6%). E negli ultimi 5 anni, tra il 2019 e il 2024, è andata anche peggio, con una produttività rimasta sostanzialmente ferma. Questa la fotografia scattata dal primo Rapporto annuale sulla produttività del Comitato nazionale Produttività istituito al Cnel in attuazione di una raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea. Il rischio è che nel medio periodo si instauri un «circolo vizioso tra salari bassi, pochi investimenti in innovazione e formazione e produttività stagnante».

In verità tra il 2022 e il 2024 l’Italia ha registrato risultati positivi su crescita economica, occupazione – a un tasso quasi doppio rispetto alla media Ue – ed export, in particolare se rapportati al complicato contesto internazionale e alla performance di altri Paesi europei. Eppure, nota il report, «le dinamiche della produttività non sembrano riflettere l’andamento delle grandezze macroeconomiche». All’origine di questa anomalia ci sarebbe «l’interazione tra caratteristiche strutturali dell’economia italiana, come la forza lavoro poco qualificata e in rapido invecchiamento e la predominanza di imprese di piccola dimensione, con lo shock dei prezzi del 2022-23, che ha ridotto i salari reali e ha incentivato l’investimento delle imprese nel fattore lavoro – relativamente più conveniente – a discapito del capitale». Ciò significa che «l’occupazione è cresciuta ma soprattutto in attività a basso valore aggiunto» spiega il Comitato. Di conseguenza, è aumentata l’occupazione (+1,6% nel 2024) ma «al costo di una riduzione della produttività del lavoro (-0,9% per occupato nello stesso anno)».

Scarse competenze digitali

Per di più, la produttività italiana sconta le scarse competenze digitali della manodopera: solo il 16% dei lavoratori italiani ha competenze elevate nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict), contro il 30% circa in Germania e Francia. E solo il 15% dei laureati italiani lo è in discipline Stem (scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche), a fronte di una media europea del 26%. Tanto che, riposta il documento del Cnel, «circa il 25% del divario tra la media Oecd e i paesi più performanti in termini di produttività del lavoro è spiegata dal diverso livello di competenze».

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Tale ritardo frena anche l’adozione di tecnologie digitali in Italia. Ecco che il Paese mostra un profondo divario rispetto alla media europea negli investimenti intangibili, ovvero quelli in beni immateriali, come software, ricerca e sviluppo, capitale organizzativo. Il tasso medio annuo di crescita degli investimenti intangibili in Italia tra il 2013 e il 2023 è stato inferiore al 2,5%, scrive il Cnel, contro il +4,7% in Francia, +6,1% in Svezia, e +5,8% negli Stati Uniti.

Pesa la dimensione delle imprese

La produttività è inoltre legata alla dimensione aziendale, «a sua volta correlata con tre fattori chiave: propensione all’export, digitalizzazione e innovazione», spiega il rapporto. Infatti «le grandi imprese sono oltre il 70% più produttive delle medie e nei servizi Ict il divario è ancora più marcato, a testimonianza della complementarità tra scala e capitale intangibile». E in Italia il 94,7% delle imprese ha meno di 10 addetti, «una quota molto superiore a Germania o Francia. Questa forte presenza di microimprese frena la produttività aggregata», spiega il report. Come anche lo scarso sviluppo in Italia delle imprese innovative che «presentano in media una produttività superiore del 20%. (riproduzione riservata)



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