Vaccini a mRNA: tra scelte politiche e traguardi scientifici


Mentre i vaccini a mRNA basati su neoantigeni aprono una nuova strada nella lotta ai tumori, il governo degli Stati Uniti ha tagliato i finanziamenti in questo ambito di ricerca

Negli ultimi anni, i vaccini a mRNA sono diventati noti al grande pubblico grazie al loro ruolo nella pandemia di COVID-19. Ma questa tecnologia, oggi, si sta spostando su un terreno ancora più ambizioso: la cura del cancro. Quest’area di ricerca sta vivendo però una fase di forte contrasto: da un lato il governo Trump sta riducendo i finanziamenti pubblici, con scelte che hanno sollevato importanti proteste da parte della comunità scientifica statunitense e che preoccupano in generale a livello globale; mentre dall’altro l’innovazione in questo ambito continua ad andare avanti su diversi fronti, tra cui quello oncologico, dove i vaccini personalizzati a mRNA potrebbero rappresentare una svolta epocale.

Fortunatamente, infatti, il resto del mondo non sta seguendo la pericolosa strada intrapresa dal governo statunitense, di cui si è parlato anche in un editoriale pubblicato su Nature. Diversi gruppi di ricerca e aziende biotech stanno sperimentando vaccini a mRNA “su misura”, costruiti a partire dalle mutazioni uniche di ciascun tumore, con l’obiettivo di stimolare il sistema immunitario del paziente a riconoscere ed eliminare le cellule tumorali. Recentemente, su Nature News è stata pubblicata una panoramica dei vaccini a mRNA in fase di sperimentazione, da cui si evince che sono 12 gli studi clinici in corso nel campo dell’oncologia. Attualmente solo uno ha raggiunto la Fase III e si attendono i risultati.

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CANCELLANDO GLI STUDI SULL’mRNA

Il segretario alla salute statunitense Robert F. Kennedy Jr ha recentemente annunciato la cancellazione di 22 progetti di ricerca sull’mRNA, per un valore di quasi 500 milioni di dollari. Una decisione che ha suscitato shock tra ricercatori e istituzioni scientifiche, visto che si tratta di una tecnologia che non solo ha permesso di sviluppare rapidamente i vaccini anti-COVID, ma che oggi apre prospettive in campi come oncologia, malattie autoimmuni e genetiche.

La decisione è stata motivata con la presunta inefficacia dei vaccini contro infezioni respiratorie come influenza e COVID-19 (è abbastanza nota la posizione novax di Kennedy Jr), ma sono numerosi gli studi internazionali che confermano che i benefici superano nettamente i rischi. Inoltre, le piattaforme a mRNA si stanno rivelando preziose per la flessibilità produttiva: le stesse infrastrutture possono passare dalla produzione di vaccini a quella di terapie oncologiche o geniche, con vantaggi molteplici.

Gli USA, considerati tra le superpotenze scientifiche mondiali, hanno spesso trainato gli altri Paesi verso l’innovazione. Ma non in questo caso. Mentre gli Stati Uniti arretrano, l’OMS e il Medicines Patent Pool hanno stabilito un piano per trasferire la tecnologia a mRNA a 15 Paesi a basso e medio reddito, con l’obiettivo di garantire autonomia vaccinale e terapeutica in caso di nuove emergenze.

Come scritto nell’editoriale pubblicato su Nature, “fino ad ora, era impossibile immaginare la ricerca sull’mRNA senza gli Stati Uniti. Il lavoro fondamentale su questa tecnologia è stato il risultato dei laboratori statunitensi, compresi gli sforzi di Paul Krieg e Douglas Melton per sintetizzare l’mRNA in laboratorio negli anni ’80 e il lavoro premiato con il Nobel di Katalin Karikó e Drew Weissman su come le cellule riconoscono e rispondono alle diverse forme di mRNA. E per quanto riguarda i finanziamenti, finora gli Stati Uniti sono stati l’unico governo in grado di eguagliare le aziende farmaceutiche per gli investimenti nell’mRNA. Ecco perché l’enormità della decisione degli Stati Uniti non può essere sottovalutata”.

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DAI NEOANTIGENI AI VACCINI PERSONALIZZATI

In parallelo, la comunità scientifica internazionale sta puntando sempre di più sull’applicazione dell’mRNA in oncologia. I tumori hanno un’enorme diversità molecolare e la selezione dei nuovi antigeni (neoantigeni) per il riconoscimento immunitario è un compito estremamente complesso. Il cuore di questa strategia terapeutica sperimentale è rappresentato dai neoantigeni, proteine nuove che si formano quando il DNA delle cellule tumorali subisce mutazioni. Questi marcatori, assenti nei tessuti sani, vengono riconosciuti come “estranei” dal sistema immunitario e sono quindi bersagli ideali per una risposta mirata contro il tumore.

Identificarli non è semplice, perché non tutti sono in grado di stimolare il sistema immunitario: quelli più comuni, infatti, sono già entrati in contatto con i linfociti T e, di conseguenza, non ci sarà una risposta adeguata alla loro eliminazione. Occorre sequenziare il genoma del tumore di ciascun paziente e selezionare le mutazioni più nuove e promettenti da inserire nella sequenza di mRNA che comporrà il vaccino.

UNA TECNOLOGIA PROMETTENTE MA COMPLESSA

Ma come si produce un vaccino a mRNA contro le cellule tumorali? Il processo è rapido rispetto ad altre piattaforme terapeutiche: in circa uno-due mesi, a partire da un campione tumorale, è possibile produrre un vaccino personalizzato. Partendo da una biopsia o dai campioni derivati dalla rimozione chirurgica di una massa tumorale, si procede con il sequenziamento del DNA per identificare qualche decina di antigeni utili (tra i 20 e i 40) per progettare una sequenza di mRNA in grado di colpire più bersagli contemporaneamente. Delle nanoparticelle lipidiche trasportano queste molecole alle cellule dendritiche e poi vengono preparati i linfociti T.

Una volta somministrato, l’mRNA viene “letto” dalle cellule dendritiche che presentano i neoantigeni ai linfociti T, addestrandoli ad attaccare il tumore. I primi risultati clinici sono incoraggianti: nello studio clinico di Fase IIb, condotto dalle aziende Moderna e Merck su pazienti con melanoma ad alto rischio, il vaccino mRNA-4157 combinato con l’uso delle CAR-T (Keytruda) ha ridotto del 49% il rischio di recidiva o morte rispetto alla CAR-T da sola (ne abbiamo parlato qui).

I LIMITI E GLI APPROCCI PARALLELI

Nonostante l’entusiasmo, il cammino non è privo di ostacoli. La produzione personalizzata è complessa e richiede tempi di lavorazione che devono essere compatibili con le esigenze cliniche. Inoltre, non tutti i pazienti rispondono allo stesso modo: nei tumori in stadio avanzato, dove il sistema immunitario è già compromesso, i benefici sembrano più limitati rispetto alle fasi precoci di malattia. Alcune aziende hanno incontrato difficoltà cliniche e finanziarie, segno che il settore è ancora in una fase di sperimentazione ad alto rischio.

Accanto ai vaccini a mRNA, sono in sviluppo piattaforme alternative per portare i neoantigeni al sistema immunitario. Alcuni gruppi stanno testando vettori virali, come il vaccino TG4050 della francese Transgene, che in uno studio preliminare ha mantenuto liberi da recidiva tutti i pazienti trattati dopo intervento chirurgico per tumore testa-collo. Altri, come Nouscom in Svizzera, stanno studiando vaccini “off-the-shelf” con decine di neoepitopi condivisi da una popolazione di pazienti ad alto rischio, come quelli con melanoma, con l’obiettivo di prevenire il cancro prima che si sviluppi. 

Il campo dei vaccini oncologici personalizzati è in piena evoluzione. Moderna, per esempio, sta costruendo uno stabilimento dedicato alla produzione del suo vaccino mRNA-4157 (l’unico in Fase III), mentre autorità regolatorie come la FDA e l’EMA stanno valutando come adattare le regole a un prodotto innovativo. Nonostante le difficoltà, l’entusiasmo resta alto: se gli studi in corso confermeranno i dati preliminari, potremmo trovarci di fronte a un cambio di paradigma nella lotta contro i tumori, in cui un vaccino personalizzato diventa parte integrante delle terapie post-chirurgiche o preventive.

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