Il consumo regolare di bevande zuccherate non aumenta il rischio di sviluppare demenza nella terza età, ma lo studio presenta diversi limiti
Negli ultimi decenni il consumo regolare di bevande zuccherate è stato identificato da diversi studi come un fattore di rischio per una serie di patologie potenzialmente letali, da infarti e ictus, passando per diabete e osteoporosi. I numeri parlano chiaro: uno studio condotto dall’Università di San Diego, pubblicato sul finire del 2024, ha confermato che i soggetti abituati a consumare almeno una bevanda zuccherata al giorno, hanno un rischio maggiore del 26% di interventi di angioplastica o altre procedure di rivascolarizzazione e del 21% in più di ictus rispetto a chi non consuma queste bevande così popolari, succhi di frutta inclusi.
Se su questo non ci sono più dubbi, una nuova ricerca condotta in Cina ha invece smentito quella che per anni è stata una convinzione: il consumo regolare di bevande zuccherate non aumenta il rischio di sviluppare demenza nella terza età. A dirlo è una nuova e ampia ricerca condotta da un team della Zhejiang University School of Medicine di Hangzhou, in Cina, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista JAMA Psychiatry.
Come è stato condotto lo studio
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Analizzando i dati di quasi 11.000 adulti statunitensi con un’età media di oltre 73 anni, i ricercatori hanno monitorato l’incidenza della demenza per un periodo medio di oltre dieci anni. Durante questo tempo, 2.445 partecipanti hanno sviluppato una forma di demenza. I dati statistici, però, non hanno evidenziato differenze significative tra chi consumava regolarmente bevande zuccherate e chi invece ne faceva un uso sporadico o nullo.
Confrontando i consumatori più assidui – almeno una bevanda zuccherata al giorno – con quelli occasionali – meno di una bevanda zuccherata al mese – il rischio di demenza era ridotto del 10% per le bevande zuccherate e neutro per quelle dietetiche. Non è emersa, di fatto, alcuna correlazione statisticamente significativa tra il consumo di queste bevande e l’insorgenza della malattia.
I limiti dello studio
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È doveroso però sottolineare i limiti dello studio, condotto analizzando i dati armonizzati di sei coorti prospettiche statunitensi, inclusi l’Health and Retirement Study, il Framingham Heart Study e il Chicago Health and Aging Project. L’assunzione di bevande da parte dei partecipanti è stata valutata tramite questionari sulla frequenza alimentare, con un controllo dei casi di demenza almeno due anni dopo la raccolta dei dati.
Gli autori hanno sottolineato che il consumo medio di bevande zuccherate nella popolazione analizzata era relativamente basso, attorno al 10% giornaliero, e che la coorte era composta principalmente da individui longevi e potenzialmente più sani della media, tutti fattori che potrebbero aver influenzato i risultati. La ricerca, poi, non ha considerato gli effetti del consumo durante l’infanzia o la mezza età, periodi potenzialmente più critici per lo sviluppo cognitivo nel lungo termine.
Il dibattito resta aperto
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Nonostante i risultati tranquillizzanti sul fronte della demenza, i ricercatori cinesi hanno voluto ricordare che le bevande zuccherate e dietetiche continuano a essere associate a patologie metaboliche come obesità, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari. “Il nostro studio non mette in discussione le linee guida nutrizionali attuali, che raccomandano di limitare gli zuccheri aggiunti a meno del 10% dell’apporto calorico giornaliero”, hanno precisato gli autori dello studio.
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