Il bilancio che divide l’UE: 2.000 miliardi, un’Ucraina da ricostruire e un Sud che rischia di restare al buio


C’è un documento che in queste settimane viaggia tra Bruxelles, Strasburgo e le cancellerie europee. Non è un romanzo di fantapolitica, anche se i numeri sembrano surreali. È la proposta di bilancio dell’Unione Europea per i prossimi sette anni, il cosiddetto Quadro finanziario pluriennale 2028–2034 (MFF). Vale quasi 2.000 miliardi di euro — l’1,26% del reddito dell’Unione — ed è, piaccia o no, l’atto politico più importante del decennio. Perché lì dentro non ci sono solo tabelle. Ci sono scelte. E in economia, come in politica, scegliere significa stabilire chi vince e chi perde.

La notizia l’hanno data tutti: l’Ucraina riceverà fino a 100 miliardi di euro nell’arco del nuovo MFF. Cento miliardi che raddoppiano i 50 miliardi già stanziati per il periodo 2024–2027, la cosiddetta Ukraine Facility.

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Questi soldi non cadono dal cielo: vengono dai contribuenti europei. Non ci saranno nuove tasse europee, né emissioni di debito comune, come era accaduto con il Next Generation EU. Saranno i bilanci nazionali a garantire questa montagna di denaro.

Si parla di “Piano Marshall per l’Ucraina”. Ma attenzione: il paragone è suggestivo, non sempre corretto. Nel 1947 l’Europa era devastata, certo, ma aveva istituzioni relativamente solide, capitale umano preparato, industrie capaci di ripartire. L’Ucraina di oggi è un Paese martoriato, con un’economia fragile, un’amministrazione debole e una corruzione endemica. Non basta invocare la memoria storica per cancellare queste differenze.

E poi, chi beneficerà della ricostruzione? Non solo Kiev, ma anche — e forse soprattutto — gli Stati Uniti, che avranno un peso negoziale enorme sugli appalti e sulle imprese coinvolte. 

Mentre il capitolo esterno cresce, quelli interni si restringono.
I fondi di coesione, che nel ciclo 2021–2027 ammontavano a 378 miliardi di euro, resteranno stabili solo in termini nominali. Tradotto: non saranno indicizzati all’inflazione. Con un’inflazione media europea del 6% annuo tra 2021 e 2024 (Fonte Eurostat), significa una perdita secca di decine di miliardi di potere d’acquisto. Meno strade, meno ospedali, meno scuole, meno infrastrutture nelle regioni periferiche.

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E la Politica Agricola Comune? Resta ferma. Una stagnazione che pesa come un macigno, perché nel frattempo i costi agricoli sono saliti del 40% dal 2021. Fertilizzanti, energia, macchinari: tutto è diventato più caro. E Bruxelles continua a chiedere agli agricoltori più vincoli ambientali, più standard, più adempimenti.

È il paradosso delle proteste agricole degli ultimi anni: non erano una rivolta schizofrenica, ma una richiesta di sopravvivenza. Meno margini di reddito, più concorrenza dall’estero (vedi i cereali ucraini a dazio zero), regole che non sempre tengono conto della realtà del campo. 

La Commissione propone un nuovo European Competitiveness Fund per sostenere la transizione verde e digitale, circa 60 miliardi da gestire in sinergia con i piani nazionali.
Ma attenzione: questi strumenti saranno accentrati. Il MFF introduce anche meccanismi di emergenza — Flexibility Instrument e Single Margin Instrument — che consentono alla Commissione di spostare miliardi senza passare da Consiglio e Parlamento (Commissione UE, 2025 draft MFF).

In pratica, Bruxelles si prende mano libera. Più centralizzazione, meno controllo democratico. 

Non bisogna farsi ingannare dalle percentuali. Il bilancio UE è sempre stato un equilibrio instabile tra solidarietà interna e proiezione esterna. Oggi l’ago della bilancia si sposta. La coesione sociale e la sicurezza alimentare vengono sacrificate per la geopolitica e la difesa strategica.

Dal 2028 al 2034, l’Europa sarà chiamata a finanziare la ricostruzione di Kiev, rafforzare le proprie industrie strategiche, difendere i confini, gestire le migrazioni. Tutto legittimo, tutto forse necessario. Ma con un costo evidente: più disuguaglianze tra Nord e Sud, più pressione sugli agricoltori, più distanza tra Bruxelles e i cittadini.





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