Il seguente contenuto è tratto dal Rapporto “Scenari per l’Italia al 2035 e al 2050” dell’ASviS. Lo studio costruisce quattro scenari relativi all’impatto della transizione ecologica sull’economia italiana, realizzati grazie alla collaborazione con Oxford Economics.
L’Appendice cinque al Piano strutturale di bilancio (Psb, “Analisi di dettaglio sul piano di riforme e investimenti”) elenca le principali riforme in cantiere comprese nel Pnrr e di cui ci si può attendere una specificazione: istruzione e ricerca, mercato del lavoro, pubblica amministrazione, giustizia, concorrenza e appalti. Se per ogni riforma vengono indicati obiettivi e risultati attesi, i criteri per misurare i risultati e le fonti da cui il Psb attinge per ricavarli (Ocse, Fmi, Banca d’Italia) sono tra loro troppo diversi per poter desumere un quadro coerente di come l’Italia dovrebbe apparire al termine del periodo considerato.
Nel caso dell’istruzione e della ricerca, le quattro linee di azione previste (diminuzione degli abbandoni scolastici, aumento dei laureati del settore ricerca e sviluppo, miglioramento della qualità dell’offerta, aumento dei sussidi per la ricerca e lo sviluppo) non risultano combinate fra loro in modo ottimale. Ad esempio, mancano indicatori sugli abbandoni universitari (evidentemente altrettanto importanti di quelli scolastici al fine di conseguire il risultato dell’aumento dei laureati), come manca ogni specificazione della destinazione dei sussidi al miglioramento della qualità dell’offerta. Per il mercato del lavoro si indicano estesamente obiettivi e risultati del Programma Gol, mentre il “Piano nazionale nuove competenze, con l’obiettivo di aumentare la partecipazione al mercato del lavoro” viene meramente annunciato. Con riferimento alla riforma della pubblica amministrazione si distinguono tre linee di azione (produttività generale, riduzione dei costi per le imprese, e produttività dei dipendenti) senza chiarire per quale aspetto la produttività dei dipendenti vada differenziata da quella generale. Inoltre, ci si limita a ipotizzare che la riduzione dei costi per le imprese, per la quale il Pnrr non prevede obiettivi espliciti, possa venire quantificata nella misura del 5% in un quinquennio a partire dal 2022 (dunque in un periodo per metà trascorso), ma senza dimostrazioni di tale riduzione.
Nel caso della giustizia, il raggiungimento degli obiettivi della riduzione della durata dei processi civili e penali e del miglioramento dell’efficienza e della prevedibilità del sistema giudiziario viene ritenuto realizzabile attraverso tre linee di intervento: completamento del progetto dell’Ufficio del processo, investimenti in capitale umano, potenziamento delle infrastrutture digitali. Anche qui manca però un’indicazione convincente della connessione virtuosa fra le varie linee. Si assume semplicemente che il completamento dell’Ufficio del processo, peraltro oggetto di diverse interpretazioni e quindi modalità di attuazione, aumenti la produttività del sistema giudiziario, e che questa funga a sua volta da volano per rendere i mercati maggiormente contendibili e stimolare gli investimenti. Il punto è che questa doppia inferenza non è nuova, essendo già al centro degli interventi sulla giustizia avviati dal Governo Draghi (2021-2022), ma a distanza di tre anni, anziché limitarsi a ribadirla, occorrerebbe passare alle prime verifiche sull’almeno parziale riuscita dell’operazione e basarsi su di esse per valutare come procedere oltre.
Nel caso della concorrenza e degli appalti, la valutazione della semplificazione in materia di contratti pubblici viene riferita a uno studio del FMI secondo cui la qualità dell’appalto pubblico può essere misurata con l’indicatore fornito dal Single market scoreboard elaborato dalla Commissione Ue. Nessun richiamo viene invece fatto ai risultati della riforma del Codice dei contratti (D.Lgs. n. 36/2023) e delle sue successive modifiche (D. Lgs. n. 209/2024), che, oltre a puntare a sua volta sulla semplificazione della disciplina del settore, introduce per la prima volta in modo vincolante “clausole sociali” per garantire nel campo degli appalti le pari opportunità generazionali, di genere, l’inclusione lavorativa, la stabilità occupazionale, l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settori e la congruità dei costi della manodopera.
In definitiva, non soltanto i criteri per misurare i risultati ma anche le fonti da cui vengono attinti sono eterogenei. Non solo viene confermata la valutazione compiuta dal Rapporto ASviS 2024 secondo cui, nel Psb, “per molte delle riforme citate mancano, allo stato attuale, indicazioni su come si intenda intervenire e indicazioni quantitative sulle loro coperture economiche o, a parte poche eccezioni, sulla quantificazioni dei fabbisogni”. Ma in due casi (giustizia e appalti) mancano pure i necessari richiami allo stato di attuazione di riforme approvate di recente e di cui quelle annunciate si presentano più o meno esplicitamente come la prosecuzione delle prime.
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