Il lavoro in Italia cresce grazie agli over 50, giovani in difficoltà


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Il mercato del lavoro italiano nel secondo trimestre del 2025 restituisce un quadro apparentemente positivo, ma solo a uno sguardo superficiale. Se l’input complessivo di lavoro, misurato in ore lavorate, è aumentato (+0,2% congiunturale e +1,7% tendenziale) e gli occupati risultano stabili attorno a quota 24,2 milioni, la vera dinamica che si nasconde dietro i numeri è una polarizzazione generazionale: a trainare l’occupazione non sono i giovani, ma gli ultracinquantenni.

Cosa dicono i dati sul lavoro in Italia

Secondo i dati diffusi dall’Istat il 12 settembre 2025,  relativi al secondo trimestre 2025, il numero di occupati in Italia resta sostanzialmente invariato rispetto al trimestre precedente, a quota 24,169 milioni.

Se guardiamo su base annua, si registra addirittura una crescita di 226mila unità (+0,9%), con un tasso di occupazione al 62,7% (+0,4 punti in un anno).

Fin qui, numeri che raccontano una tenuta significativa del sistema. Ma entrando nel dettaglio, emergono alcune evidenze chiave, ovvero:

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  1. è vero che gli occupati a tempo indeterminato crescono (+296 mila in un anno, +1,9%) e gli indipendenti tornano a salire (+150 mila, +3,0%) a fronte di un netto calo degli occupati a termine (-221 mila, -7,7%);
  2. è vero anche che il lavoro a tempo pieno aumenta (+476 mila, +2,4%), compensando il calo marcato del part time (-250 mila, -6,1%);
  3. tuttavia, il tasso di occupazione cresce tra i 50-64enni, soprattutto nel Mezzogiorno, con tassi di crescita superiori rispetto ad altre fasce d’età, mentre cala al Nord e tra gli under 50.

Messi insieme, questi trend raccontano di come l’occupazione italiana sia sostenuta più dal prolungamento delle carriere e da una maggiore permanenza al lavoro che dall’ingresso di nuova forza lavoro giovanile. Per i giovani, cioè, il mercato appare più stagnante, se non in arretramento

Un’occupazione che invecchia

La riduzione dei disoccupati (-9 mila in un anno, con un tasso al 6,6%, secondo l’Istat) non riguarda i giovani in cerca di prima occupazione, il cui numero torna a salire. Cresce la quota di chi si affaccia per la prima volta sul mercato senza riuscire a trovare spazio, mentre calano i disoccupati con esperienze lavorative alle spalle.

Non è un caso infatti il declino dei contratti a termine. Quest’ultimo, spesso utilizzato come “porta d’ingresso” al mercato per i più giovani, rappresenta una delle ragioni per cui le nuove generazioni faticano a inserirsi.

Questa dinamica segnala che la crescita occupazionale non è inclusiva per le nuove generazioni. Di fatto, il rischio è che un Paese che cresce in termini occupazionali grazie agli over 50 è un Paese che si muove in una direzione contraddittoria rispetto al futuro.

Le nuove generazioni restano ai margini del mercato, mentre gli equilibri interni al mondo del lavoro si spostano verso chi ha già carriere consolidate o si trova nella fase finale della vita professionale.

In parallelo:

  • c’è stato un aumento dei contratti intermittenti (+6,1% su base annua), che però restano lavori discontinui, instabili e poco adatti a costruire una carriera solida;
  • i giovani inattivi aumentano, cioè quelli che non cercano né sono disponibili a lavorare (i cosiddetti Neet).

Il tasso di posti vacanti, sceso all’1,8%, segnala inoltre che la domanda di lavoro non è particolarmente vivace. Le imprese non cercano nuove figure in misura significativa, e quando lo fanno privilegiano spesso profili esperti, in grado di portare risultati immediati. Anche questo penalizza chi è all’inizio del percorso. Il quadro che emerge è quello di un Paese che non cresce, ma invecchia.





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