«Il private banking può dare una spinta decisiva alle imprese consentendo l’accesso a fonti di finanziamento più evolute e diversificate, migliorare la governance e attivare nuovi percorsi di sviluppo». Andrea Ragaini, presidente di Aipb, l’Associazione italiana del private banking, va subito al punto, sottolineando che va fatto un salto culturale per cogliere le opportunità offerte dal mercato.
Per compiere il salto di qualità gli investitori-risparmiatori devono puntare di più sugli asset legati alle azioni (attualmente solo il 10% investe in azioni), liberando anche la liquidità congelata nei conti correnti per dare sprint all’economia reale con strumenti in grado di accelerare lo sviluppo delle aziende. Una scelta che consente non solo di aumentare i rendimenti ma di guardare lontano, abbandonando i vecchi schemi del passato che spesso hanno rallentato i processi di crescita. Del resto il private banking è vicino al mondo delle pmi e complessivamente gestisce risparmi per 1.286 miliardi di euro, pari a circa il 50% della ricchezza finanziaria investita dalle famiglie italiane.
Circa il 23% della clientela, spiega Ragaini, è costituito da imprenditori, i quali generano il 30% delle masse gestite. «E se lo Statuto delle imprese ha tracciato una visione ambiziosa per favorire la competitività, occorre però anche un ecosistema concreto di accompagnamento nei processi evolutivi delle imprese. E l’industria del private banking è un alleato naturale, grazie al suo approccio personalizzato, multidisciplinare e orientato al lungo termine».
LO SCAMBIO
Gli imprenditori – argomenta – devono aprirsi a nuove fonti di finanziamento e i risparmiatori-investitori devono supportare l’economia reale, in uno scambio virtuoso. Ancora oggi il 97% delle pmi ricorre al credito bancario o si autofinanzia, solo l’1% sceglie altre strade. Eppure ci sono tante alternative sul mercato anche per favorire e l’aggregazione tra imprese o agevolare il trasferimento generazionale delle competenze. Il presidente di Aipb si augura che ci sia una spinta decisa verso l’aumento della dimensione aziendale, indispensabile per rafforzare la produttività del nostro tessuto imprenditoriale, incrementare la competitività internazionale. Va detto che secondo gli ultimi dati di Aipb le scelte di governance restano ancorate a modelli accentrati: il 63% degli imprenditori prenderebbe in considerazione l’ingresso di un nuovo socio, ma principalmente di natura industriale, confermando così una certa resistenza verso modelli più aperti e strutturati di partecipazione al capitale come Private Equity o quotazione in Borsa. «Certo – conclude Ragaini – accanto al rafforzamento della domanda di capitale delle imprese, è fondamentale agire anche sul lato dell’offerta di capitale: gli strumenti di investimento in economia reale – come azioni, private equity, mini-bond – devono acquisire maggiore rilevanza nei portafogli degli investitori, oggi pari a circa l’1% del portafoglio complessivo».
Cruciale a questo proposito intervenire anche sul piano fiscale, poiché l’attuale sistema non distingue tra investimenti di breve e lungo termine. La proposta di Aipb è semplice. «Va introdotta – dice il presidente – una modulazione delle aliquote sui redditi di capitale e sulle plusvalenze, in base alla durata dell’investimento. Prevedendo nel contempo meccanismi di parziale esclusione da imposizione per dividendi reinvestiti». Insomma, più tengo un titolo e meno tasse pago, così come sarebbe utile dare incentivi alle start up innovative, non facendo distinzioni tra quotate e non quotate. Un modo per spingere le pmi e farle diventare più grandi.
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