La dimensione media delle imprese
umbre, misurata in addetti per impresa, è da anni un fattore
sensibile per la competitività. Un sistema produttivo troppo
polverizzato tende infatti a investire meno, innovare con più
difficoltà e resistere meno alle crisi. I dati del Sistema
camerale relativi al secondo trimestre 2025 mostrano ora un
miglioramento: la media sale a 3,7 addetti, rispetto ai 3,5 del
2019. L’aumento è del +5,7%, superiore al +5,0% dell’Italia e al
+4,9% del Centro. In valori assoluti l’Umbria resta sotto i
livelli medi (Italia 4,3, Centro 4,5), ma accorcia le distanze
grazie a un passo più sostenuto. A renderlo noto è la Camera di
commercio dell’Umbria.
Per Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di commercio
dell’Umbria “le imprese stanno dimostrando capacità di
adattamento e visione, cogliendo le opportunità offerte dai
bandi e investendo in formazione, digitalizzazione e
innovazione”. “Il ridimensionamento numerico delle unità
produttive – ha aggiunto – non va letto come un segnale
negativo, ma come il frutto di una selezione che rafforza chi
resta sul mercato. Oggi abbiamo aziende più solide, più
strutturate e meglio in grado di affrontare la competizione
nazionale e internazionale. La sfida ora è mantenere questa
traiettoria, sostenendo la crescita delle realtà più dinamiche e
accompagnando anche le micro e piccole verso percorsi di
consolidamento. La Camera di commercio, come sempre, è
costantemente a fianco delle imprese perché riescano ad
accelerare ancora il ritmo della crescita dimensionale,
cogliendo a pieno le sfide e le opportunità della doppia
transizione: quella digitale e quella ecologica”.
Sul lungo periodo la dimensione media umbra passa da 3,4 a
3,7 addetti (+8,8%), mentre l’Italia cresce del 7,5% e il centro
del 9,8%. Secondo l’analisi va però distinta la dinamica: tra
2015 e 2019 l’Umbria cresceva lentamente (+2,9%), meno delle
altre aree; dal 2019 al 2025 il quadro cambia e la regione
accelera oltre la media. Non un salto improvviso, ma un trend
consolidato negli ultimi anni. Questo andamento segnala che il
tessuto locale, pur fragile, ha trovato nuove leve di
rafforzamento.
Dal 2019 al 2025 le imprese attive umbre calano da 79.790 a
77.861 (-2,4%). Nello stesso periodo gli addetti aumentano da
279.220 a 287.471 (+3,0%). È un andamento più favorevole del
+2,9% italiano e nettamente migliore del -1,2% del Centro. Le
realtà più deboli hanno chiuso, mentre quelle rimaste hanno
assorbito manodopera, guadagnando peso organizzativo. Un
processo di selezione naturale che riduce la frammentazione
rafforzando il tessuto complessivo.
A trainare l’aumento sono soprattutto piccole e medie
imprese, quelle che dispongono di scala minima per innovare. Nel
decennio 2015-2025 le medie tra 100 e 249 addetti segnano +35,8%
di occupati; quelle tra 50 e 99 addetti +16,2%. Le piccole
crescono con +18,2% (10-19 addetti) e +16,5% (20-49). Soffrono
invece le micro, in particolare quelle con 1-5 addetti. Le
grandi vedono un incremento del 7,6% degli addetti quelle tra
250 e 499 dipendenti e del 4,6% quelle da 500 addetti in su.
La distribuzione degli addetti evidenzia un riequilibrio. Le
micro scendono dal 40,7% al 34,7% degli occupati. Salgono le
piccole dal 23,2% al 26,1%, le medie dal 12,1% al 14,6% e anche
le grandi dal 13,7% al 14,4%. Le micro restano prevalenti nel
tessuto, ma con un peso minore: un passaggio importante perché
in Italia le imprese di dimensione intermedia garantiscono gran
parte della produttività e dell’export.
Tra 2019 e 2025 in Umbria i dipendenti non familiari
crescono del +7,9%, meglio dell’Italia (+6,2%) e del centro
(+2,0%). Su dieci anni l’incremento è +13,1%, contro +11,1% e
+11,3%. Parallelamente calano i parenti coinvolti. È un segnale
di qualità: più lavoro dipendente regolare, più contratti a
tutela, più competenze interne. La crescita dimensionale non
riguarda solo la quantità ma anche la struttura occupazionale,
con un tessuto meno basato su relazioni familiari e più su
rapporti professionali.
Negli ultimi anni in Umbria si è lavorato per innalzare la
taglia media d’impresa attraverso bandi con fondi europei e
programmi di formazione rivolti sia a imprenditori che a
dipendenti. Queste leve hanno sostenuto investimenti,
digitalizzazione e aggiornamento organizzativo. Un percorso che
ha permesso ad alcune micro di diventare piccole e a diverse
piccole di crescere ulteriormente. La crescita dimensionale è
quindi l’esito di politiche mirate ma anche di una selezione
spontanea: le imprese meno attrezzate hanno ceduto il passo a
quelle capaci di strutturarsi.
L’Italia, pur restando sopra nei valori assoluti, nella
crescita dimensionale delle aziende non ha registrato lo stesso
ritmo dell’Umbria post-2019. Nel centro Italia, invece, la
contrazione del numero di imprese non è stata compensata da una
crescita analoga degli addetti. L’Umbria si distingue dunque per
un modello meno statico, che riduce le fragilità e si avvicina a
configurazioni più solide.
Tre conseguenze principali emergono: più stabilità, grazie a una
base crescente di lavoratori dipendenti non familiari; maggiore
capacità di investimento, concentrata nelle fasce 10-49 e 50-250
addetti; riduzione della polverizzazione, con un innalzamento
della soglia minima di efficienza.
“Questi elementi – conclude la Camera di commercio –
incidono sulla competitività e sulla capacità di attrarre
finanziamenti e partnership, specie nei settori innovativi”.
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