Una buona notizia per le piccole e medie imprese di Piazza Affari. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza da più fonti, la Consob ha dato l’autorizzazione a settembre al primo veicolo che andrà a investire nelle pmi quotate all’interno dell’umbrella fund a capitale misto pubblico-privato (il Fondo Nazionale Strategico Indiretto, Fnsi) sotto la regia di Cdp. Ad avere avuto il via libera è Eurizon, il braccio operativo di Intesa Sanpaolo. Che non sarebbe un caso isolato, infatti entro dicembre altri operatori, fra banche, sgr, assicurazioni e fondi pensione presenteranno i loro veicoli per poter iniziare a investire nelle piccole e medie imprese quotate che soffrono da anni di mancanza di scambi e di liquidità.
Il rinvio a giugno 2026
Nel frattempo, Cdp ha allungato di sei mesi, fino a giugno 2026, la data ultima per la raccolta degli investimenti. Una decisione che arriva su richiesta dei piccoli operatori che fanno più fatica rispetto ai grandi istituti di credito a chiudere la raccolta dei fondi sulle pmi con ottica di medio-lungo termine. Il 49% della liquidità del Fnsi arriva da Cassa Depositi e Prestiti (300 milioni), il 51% deve essere raccolto fra i soggetti istituzionali privati.
Queste notizie arrivano mentre l’Egm, il segmento dove sono quotate oltre 200 pmi, si trova ad affrontare una fase ancora più difficile, come emerge da un’indagine di Banca Finnat
2025, più delisting di ipo
Il 2025 sarà probabilmente ricordato per essere il primo anno in cui il numero di delisting è superiore a quello delle quotazioni. Alla data di fine agosto, ci sono state 14 ipo e 15 società che hanno lasciato Piazza Affari. Nel 2024, a fronte di 21 quotazioni, i delisting erano stati 11, pari a 10 ammissioni nette. Nel 2023, invece, su 34 quotazioni, si sono contati 16 delisting e 5 passaggi da Egm al mercato principale per 13 ammissioni nette. Il 2022, invece è stato caratterizzato da 26 quotazioni, 8 delisting, 2 passaggi per un totale di 16 ammissioni nette. Ben più ricco il 2021 con 44 quotazioni, 5 delisting e 3 passaggi, ovvero 36 ammissioni nette.
Piccole e in crescita
Nel frattempo, però, le società hanno continuato ad avere conti solidi. Nel 2024, i ricavi totali sono passati da 473 a euro 534 milioni con una crescita annua composta (Cagr) del 13%, mentre nello stesso periodo l’ebitda medio è salito da 4 a 5 milioni (Cagr del 9%). Come sottolinea Alberto Verna, direttore della divisione Advisory & Corporate Finance di Banca Finnat, «il contesto macroeconomico e geopolitico – tassi elevati, instabilità internazionale – ha acuito la percezione di rischio sulle small cap, innescando un circolo vizioso: meno interesse, meno liquidità, minore valorizzazione, più incentivi a uscire dal mercato. Questo difficile contesto si riflette anche in sede di ipo, dove gli investitori sono diventati più selettivi nonostante incentivi fiscali e misure di supporto pubblico».
D’altro canto, riprende Verna, «non bisogna trascurare la salute delle società quotate: i dati mostrano come l’ipo abbia contribuito a far crescere ricavi, occupazione e margini». E qui Verna si collega al fondo Cdp-privati quando parla di «nuove leve di stimolo, come l’intervento del Fondo Nazionale Strategico che, convogliando capitali istituzionali, potrebbe rafforzare la domanda. La sfida resta quella di creare un ecosistema più maturo, in cui la liquidità e la fiducia degli investitori siano sufficienti per sostenere valutazioni più remunerative e una crescita più stabile in modo da rendere questo segmento una vera opportunità di finanziamento strutturale per le imprese italiane». (riproduzione riservata)
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