Ecco perché per sopravvivere le imprese italiane devono andare a lezione da quelle cinesi




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Le imprese sono cambiate, perché sono mutate le condizioni economiche, politiche e sociali a livello globale.

A cambiare sono stati prima di tutto i mercati, sempre più chiusi a causa dei dazi, delle politiche protezionistiche, per via delle guerre e del dumping. Ma il cambiamento più forte è ascrivibile al comportamento dei consumatori e alle loro scelte.

La metamorfosi della Cina negli ultimi vent’anni

La Cina è stata una delle prime potenze mondiali ad aver compreso questo nuovo scenario e a essersi attrezzata per governarlo al meglio.

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Il popolo cinese ha infatti cambiato pelle più volte negli ultimi vent’anni. Alle soglie del nuovo millennio il grande Paese asiatico esportava quanto l’Italia, mentre oggi comandano su tutte le più importanti rotte internazionali prestando però molta attenzione sul consumo nazionale.

Questo grazie alle politiche volute dal governo centrale e alla loro nuova attitudine a considerare le produzioni locali più interessanti di quelle proposte dagli occidentali. La Cina a livello industriale sembra inarrivabile, ha fatto forti investimenti in nuove tecnologie ed è cresciuta sul fronte della qualità dei prodotti realizzati, oggi molto competitivi sia per prezzo che per valore complessivo.

Perché l’Europa deve monitorare il comportamento dei Paesi asiatici

Noi europei dobbiamo guardare ai Paesi asiatici con molta attenzione: essi rappresentano un prezioso indicatore rispetto al comportamento del nuovo consumatore e quindi del mercato.

Siamo nel pieno della quinta rivoluzione industriale, nell’ambito della quale le nuove tecnologie, sempre più legate all’intelligenza artificiale, hanno cambiato il modo di produrre e di gestire le imprese. Le filiere saranno sempre più corte e interessate a fornire i mercati di prossimità e ciò implicherà puntare sempre di più sulla qualità dei prodotti. Progettare sarà più semplice e veloce, così come produrre, grazie all’aiuto delle tecnologie intelligenti.

Tra industria e deficit demografico, l’Italia deve cambiare passo

L’Italia deve necessariamente cambiare passo. Le nostre filiere produttive sono frammentate e in sofferenza. Per tornare a essere competitivi occorrono competenze ultra specializzate e forti investimenti in innovazione e ricerca e sviluppo, altrimenti si rimane schiacciati da un mercato in cui la domanda viene saturata a una velocità a cui non eravamo abituati e l’offerta diventa rapidamente obsoleta proprio perché ha come driver principale la tecnologia di ultima generazione.

Il nostro è un sistema industriale in crisi ed in cerca di una nuova identità. A complicare ulteriormente le cose c’è il deficit demografico. La proiezione al 2030 è disarmante: settecentomila lavoratori in meno rispetto a oggi. Un collasso che proiettato al 2050 si trasforma in un vero e proprio infarto produttivo con oltre 5 milioni lavoratori che rischiano di scomparire.

Per abbracciare i cambiamenti in atto serve l’appoggio di tutti gli stakeholder, in primis degli imprenditori

Gli imprenditori per primi devono essere propulsori di un cambiamento deciso: studiare i nuovi mercati, investire e comprendere al meglio come valorizzare il capitale umano, ridisegnare la dimensione delle imprese per poter essere più competitive, puntando su aggregazioni, acquisizioni, joint-venture di scopo che accelerino l’adeguamento. Comprendere il significato della rivoluzione dell’intelligenza artificiale e abbracciare al meglio le nuove tecnologie.

La portata dei cambiamenti in atto è tale da richiedere un’energia straordinaria che tutti gli attori del nostro Paese devono mettere a disposizione, in primis chi fa impresa, il tutto per evitare che l’Italia perda credibilità e attenzione industriale, l’ultimo nostro baluardo prima di una decrescita rassegnata. (riproduzione riservata)
*presidente di VeNetwork

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