Reputazione aziendale, i migliori testimonial? I dipendenti


Se è vero che «Le due cose più importanti di un’azienda sono i suoi uomini e la sua reputazione» (frase attribuita a Henry Ford), è anche vero che per garantire che questi creino davvero valore occorre che i primi, cioè i dipendenti o – come si usa dire oggi in un eccesso di politically correct – i collaboratori, si sentano coinvolti nei valori di cui l’azienda si fa portavoce all’esterno e aderiscano ai suoi obiettivi. Sono, infatti, loro i primi clienti e possono diventare anche i primi testimonial dell’azienda, sostenendone la reputazione.

Per far questo, occorre un allineamento tra ciò che l’azienda comunica all’esterno – a clienti, investitori e stakeholder – e ciò che comunica al suo interno. Un problema tanto più sentito negli ultimi anni, da quando con la pandemia i confini delle aziende sono diventati più liquidi e non si lavora più tutti “sotto lo stesso tetto”. L’argomento è centrale soprattutto nel mondo anglosassone, dove numerosi sono i libri e gli studi dedicati all’employee engagement e alla necessità di allineare i due tipi di comunicazione. In Italia, invece, se ne parla ancora poco.

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Parola d’ordine engagement

«A partire dalla fine degli anni 90, ma in maggior misura negli ultimi dieci anni, le aziende di grandi dimensioni hanno cominciato ad affiancare alla funzione di comunicazione esterna quella di comunicazione interna. Il coinvolgimento dei dipendenti è diventato una delle leve strategiche di un’organizzazione», spiega Alberto Fascetto, consulente in comunicazione e autore dei libri Comunicazione aziendale interna e The Art of Internal Communication (Ikonos Editore, 2023 e 2025). «Con il tempo il ruolo della comunicazione aziendale interna si è evoluto: se prima assolveva una funzione meramente informativa, legata alla diffusione di informazioni, dati, compiti all’interno di un’organizzazione, oggi comprende azioni volte al coinvolgimento dei dipendenti: vuole diffondere visione, mission, obiettivi, conoscenze».

La parola d’ordine è engagement (si parla di people engagement, employee engagement…), e non solo perché amiamo gli inglesismi ma anche perché la letteratura sull’argomento è prevalentemente anglosassone. Per inciso, non a caso – almeno al momento –, il testo di Fascetto è l’unico libro sulla comunicazione interna in Italia… «Ma l’attenzione deve rimanere alta sulla trasparenza e sull’autenticità», aggiunge l’autore. «La comunicazione interna non dev’essere utilizzata come strumento che altera la verità, ma che ripercorre i valori aziendali. Tanto più oggi che si parla di sostenibilità, Corporate Social Responsibiliy, Diversity & Inclusion». Prova ne è che la funzione aziendale di collaborazione interna, tradizionalmente costituita dentro risorse umane, nelle imprese moderne è collocata all’interno della comunicazione esterna corporate, perché è importantissimo valorizzare questo legame interno-esterno.

Il personale come tester

Come fare? Numerosi sono gli esempi virtuosi. «Ci sono aziende in cui i dipendenti sono incoraggiati a dare il loro endorsement commerciale», continua Fascetto. «È il caso di Enel (uno dei 16 casi nominati nel libro, ndr), i cui collaboratori non sono semplici portavoce dei prodotti ma dei tester, con l’obiettivo che diventino loro i primi clienti: 30 mila persone Enel in Italia rappresentano un campione significativo del target consumer. Altre organizzano incontri ravvicinati. Dopo la serata di lancio del Piano industriale 2024-2028 di Acea a Palazzo Mezzanotte a Milano, i responsabili si sono chiesti se le persone di Acea lo avessero davvero compreso, e se avessero capito il ruolo che ciascuno era chiamato a svolgere. Sono stati quindi organizzati incontri, di persona e online, per accertarsi di questo.

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Altre ancora usano la tecnologia. Poste Italiane nel 2019 ha lanciato un’app per i suoi 120 mila dipendenti, che permette l’accesso ai contenuti Intranet. È tra le più evolute in Italia: oltre a servizi essenziali come la directory del personale, le buste paga, le richieste di congedo per malattia, ferie e trasferte di lavoro, consente al personale di accedere alle notizie aziendali organizzate per categoria, partecipare a discussioni commentando o mettendo “mi piace” agli articoli, prendere parte a sondaggi, sempre condotti tramite l’app.

In Campari la comunicazione interna viene approcciata come quella esterna: si parla di campagne, progetti, creazione e approccio ai contenuti che spesso pur nascendo internamente sono usate per l’esterno».

Un ruolo chiave per il management

Una cosa è certa: le aziende con team altamente coinvolti ottengono benefici che incidono direttamente sui risultati economici. Il maggior coinvolgimento genera fiducia che genera efficienza. I dati sono contenuti nello State of the Global Workspace di Gartner 2024: -78% assenteismo, -51% turnover, +10% fedeltà, +23% redditività. Ma il report rivela anche che nel 2024 l’engagement dei dipendenti a livello globale è sceso al 21%, con un calo particolarmente marcato tra i manager.

Ma come si fa a realizzare queste strategie? «La collaborazione tra le varie aree aziendali è centrale, e in primis quella tra comunicazione interna, esterna e risorse umane», conclude Fascetto. «Ma è fondamentale il sostegno del management: se non ho un appoggio dall’alto tutti gli sforzi in questo senso sono vani. Un’importanza sempre maggiore riveste l’area IT che ha a disposizione informazioni dei collaboratori in formato digitale e, dall’altro lato, informazioni relative ai database e al Crm (Customer Relationship Management), che permette alla comunicazione interna di essere efficace e in linea con quella esterna».


Puntare sulla coerenza

Il punto di vista di Alessandra Mazzei, professoressa ordinaria di Comunicazione d’impresa all’Università Iulm di Milano

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«Tutto quello che è comunicato all’esterno per essere credibile e sostenibile nel lungo periodo deve essere radicato nel posizionamento strategico che l’azienda dichiara, nella sua vision, nella sua mission nei suoi valori. Ma anche nella cultura organizzativa», sottolinea Alessandra Mazzei, professoressa ordinaria di Comunicazione d’impresa all’Università Iulm (Milano) e direttrice del Cerc (Center for Employee Relations and Communication).

Perché nelle aziende è importante un’efficace comunicazione interna?
La comunicazione interna supporta i processi organizzativi, serve a implementare i cambiamenti, aiuta nei momenti di crisi. È una leva per sostenere lo sviluppo reputazionale di un’impresa. Da quando nelle aziende si è diffuso il lavoro ibrido, dopo la pandemia, è diventata un elemento fondamentale per la coesione del sistema organizzativo.

Come assicurare coerenza con la comunicazione esterna?
Il contesto interno, quello che viene comunicato ai collaboratori, deve essere basato sulla cosiddetta “identità aziendale”. La teoria sostiene che la reputazione si conquista, viene guadagnata, nel tempo partendo dall’identità interna dell’azienda. Questo richiede un impegno di lungo periodo sulla cultura, sui valori.

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Quali i rischi se ciò non avviene?
Oggi le aziende sono esposte al rischio di essere accusate di washing: green washing, pink washing, anche rainbow washing (sui diritti LGBTQ+). Quindi, sono ancora di più indotte a lavorare sul loro ambiente interno, prima che i problemi escano dai confini aziendali.

La presenza di tutti noi sui social network ha peggiorato questa problematica?
Sì. Siamo tutti in rete, e qui possiamo comunicare le nostre critiche e il nostro malcontento, anche in maniera anonima se utilizziamo le piattaforme di recensione. Ma la labilità dei confini tra contesto interno ed esterno non è solo un male. Può anche creare delle sinergie.

In che modo?
I collaboratori, se opportunamente formati e supportati, possono diventare ambassador dell’azienda e diffonderne i valori e i brand. Negli ultimi anni in molti casi sono diventati essi stessi protagonisti delle campagne di comunicazione esterna, sostituendo attori professionisti. Antesignana in questo fu Intesa Sanpaolo, che nel 2007 realizzò due film di 30 secondi per pubblicizzare un conto corrente a canone zero: due coppie di dipendenti venivano “tartassate” dalle domande della Gialappa’s.

L’ambassadorship può anche avvenire attraverso l’utilizzo dei social?
Certamente. Cromology Italia, per esempio, azienda che opera nel settore della produzione e vendita di pitture per l’edilizia, ha lanciato il programma Cromology Voices, grazie al quale ha formato i propri collaboratori per permettere loro di raccontarsi professionalmente su LinkedIn in coerenza con i valori dell’azienda. Oggi esistono piattaforme che consentono ai collaboratori di riprendere i temi che l’azienda ha condiviso con loro e di trasformarli in contenuti per il loro social account.


Questo articolo è tratto dallo speciale Comunicazione d’impresa di Business People di settembre 2025, scarica il numero o abbonati qui



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