“Da quando Macron è entrato all’Eliseo nel 2017 promettendo di tagliare le tasse, stimolare la crescita e ridurre il peso dello Stato, la spesa pubblica è aumentata, e con essa anche il rapporto debito/Pil della Francia, che ora nell’Eurozona è superato solo da Grecia e Italia”. A scriverlo è il Financial Times, che si chiede quanti dei problemi dei conti pubblici francesi – che hanno già provocato la caduta di due governi – siano imputabili al presidente Emmanuel Macron. La risposta arriva poche righe dopo: “Le difficili condizioni delle finanze pubbliche francesi si spiegano con due fattori: la politica di forte spesa per attenuare l’impatto della pandemia da Covid e della successiva crisi energetica europea, ma anche i consistenti tagli fiscali introdotti da Macron a partire dal 2018. La metà dell’aumento complessivo del debito francese dal 2017 è dovuta a questi tagli permanenti, mentre l’altra metà è legata agli aiuti straordinari”, scrive il giornale citando Xavier Ragot, direttore dell’Osservatorio francese sulle congiunture economiche (Ofce).
Dalla sua elezione, Macron ha promosso una politica economica di allentamento delle leggi sul lavoro e tagli alle tasse. Tra le misure più discusse ci sono l’abolizione dell’imposta sulla ricchezza, l’introduzione di una flat tax sui redditi da capitale, il taglio delle imposte sulle imprese, ma anche l’innalzamento dell’età pensionabile a 64 anni. Questa ricetta ha prodotto alcuni risultati, come il calo della disoccupazione e una maggiore attrattività per gli investimenti, ma ha anche alimentato le critiche di “presidente dei ricchi”. Ora, di fronte a un deficit che nel 2024 ha toccato il 5,8%, la sinistra si è opposta a un piano di tagli da 44 miliardi che includeva il congelamento di pensioni e sussidi e la rimozione di due festività nazionali, chiedendo al contrario di aumentare le tasse sui più ricchi. “Concessioni che Macron considera equivalenti a smantellare gran parte della sua eredità politica”, sottolinea il Ft.
Nonostante la Francia non chiuda un bilancio in pareggio dagli anni Settanta, nel 2017 la congiuntura economia consentiva un certo margine di bilancio. “Quando Macron è entrato all’Eliseo, il debito era in calo e il deficit era pari al 3,4% del PIL, grazie alle misure adottate dal suo predecessore socialista François Hollande per riprendersi dalla crisi finanziaria del 2008”, ricorda il quotidiano. Poi, però, si è verificata una serie di crisi, tra cui il movimento dei gilet gialli, la pandemia di Covid-19 e lo shock energetico europeo, che hanno portato il governo a spendere ingenti risorse in misure di sostegno. “Gli economisti sostengono che lo stimolo fiscale sia stato eccessivo. Ma l’Ofce suggerisce che il problema più duraturo, che è diventato pienamente evidente solo con l’attenuarsi delle distorsioni causate dalla pandemia, è stato il calo del gettito fiscale dovuto alle decisioni prese in precedenza da Macron”, spiega il Ft.
Secondo gli analisti citati dal giornale, la via d’uscita resta una riduzione graduale e diffusa della spesa. “Il compito potrebbe essere fattibile se ci fosse un sostegno politico a favore di tagli graduali nell’arco di diversi anni. Tuttavia, data la profonda frattura che separa attualmente i partiti politici, raggiungere un consenso sarà probabilmente impossibile fino alle elezioni presidenziali del 2027, quando gli elettori potranno esprimere la loro scelta”, conclude l’articolo.
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