Il gruppo di Massarosa, con i marchi storici Filippo Berio e Sagra, fattura 561 milioni e ha negli Stati Uniti il suo mercato chiave. Ma le tariffe al 15% stanno cambiando gli equilibri. «Ci concentreremo su ciò che possiamo controllare», spiega il ceo Gianmarco Laviola
La storia di Salov sintetizza quella di alcuni brand storici dell’olio italiano. Il gruppo ha sede a Massarosa, in provincia di Lucca, ed è tra le più grandi realtà del settore oleario con un fatturato 2024 pari a circa 561 milioni di euro e 96,7 milioni di litri venduti. L’azienda toscana produce e commercializza in tutto il mondo olio extra vergine e olio di oliva con i suoi brand storici, Filippo Berio e Sagra, oltre a prodotti per il canale business to business.
Sagra è il marchio più noto, arrivato sul mercato nel 1959 da un progetto di diversificazione in ambito alimentare della società Farmaceutica Carlo Erba. In principio, l’olio Sagra veniva prodotto da Salov, distribuito da Plasmon e venduto nelle farmacie. Ma il marchio storico rimane Filippo Berio, presente sul mercato dal 1867. Conosciuto in tutto il mondo, oggi viene venduto in 75 Paesi con una storica presenza negli Usa. «Il rapporto tra Filippo Berio e gli Stati Uniti è storicamente inscindibile — spiega Gianmarco Laviola, amministratore delegato del gruppo Salov —. Il marchio è nato come risposta alla richiesta di olio di qualità da parte degli emigrati italiani. Da allora, gli Usa sono sempre stati il primo mercato di riferimento per Filippo Berio, non solo in termini di volumi ma, soprattutto, come valore strategico e culturale. Per questo l’introduzione definitiva dei dazi al 15% sull’olio d’oliva italiano colpisce in modo diretto. È una misura che, pur non inattesa, modifica in maniera significativa gli equilibri commerciali costruiti nel tempo. E non solo per Filippo Berio, ma per tutto il comparto dell’agroalimentare italiano».
Il pericolo
Resta la difficoltà di creare una strategia alternativa, che protegga dai contraccolpi del mercato a stelle e strisce. «Non nascondiamo che la situazione generi preoccupazione — ammette Laviola —. Tuttavia, il nostro approccio resta quello di concentrarci su ciò che possiamo controllare. Il made in Italy ha una reputazione solida e un livello qualitativo riconosciuto. Questo ci consente, almeno in parte, di difendere la nostra posizione anche in contesti sfidanti. Il vero rischio è che misure come queste aprano la strada a fenomeni distorsivi, come l’italian sounding», ovvero l’imitazione dell’italianità da parte di prodotti che nulla hanno a che vedere con le nostre filiere. «Gli Oli Filippo Berio hanno un sistema di tracciabilità completo ed esaustivo — aggiunge il manager —, che non si esprime soltanto attraverso le informazioni relative alla provenienza della materia prima. Con i prezzi che salgono, è facile che il consumatore medio si sposti su alternative più economiche e meno autentiche. Per questo motivo uno dei nostri pillar per i prossimi anni è investire in comunicazione per spiegare al consumatore il valore del brand, la qualità del prodotto e il perché dovrebbe pagare un prezzo superiore».
Le alternative
Sono tante le aziende italiane del food che stanno riflettendo sull’opportunità di creare mercati alternativi a quello degli Stati Uniti e nessuno ha ancora trovato la ricetta vincente. «Credo che non ne esista una sola — afferma l’ad —. Salov punterà a rafforzare ancora di più la presenza europea, dove stiamo registrando una crescita a doppia cifra, specialmente nell’area del Benelux e in Svizzera. Qui stiamo aumentando la nostra quota di mercato, e in Svizzera siamo diventati il primo marchio. Abbiamo in programma il lancio di nuove referenze dedicate a questi mercati. Anche il Canada rappresenta un mercato cruciale e un’importante area di sviluppo. Negli ultimi anni, abbiamo ottenuto ottimi risultati e vediamo ancora ampi margini di crescita. È un mercato che cresce a doppia cifra e noi stiamo andando meglio del mercato. Inoltre, guardiamo con attenzione ai Paesi emergenti, come l’India, la Cina o l’Africa. Sono mercati con bacini di consumo enormi che cambieranno gli equilibri commerciali mondiali nei prossimi anni».
In casa
Resta da capire il ruolo e la potenzialità del mercato interno. «A livello nazionale, stiamo assistendo a una ripresa dei consumi, grazie a un ritorno dei prezzi medi ai livelli precedenti al picco del 2024. Il vero punto interrogativo sarà capire come si evolverà quest’anno il consumo di olio extra vergine 100% italiano, che al momento mantiene delle quotazioni estremamente elevate.Siamo italiani e l’Italia è il nostro mercato, enorme in termini di volumi ma molto difficile. Nel nostro Paese spesso le rincorse ad aumentare le quote di mercato, da parte di qualche nostro competitor, fanno crollare i prezzi fuori da ogni logica competitiva, facendo dimenticare il vero valore del cibo».
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