Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3620 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3620 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10131/2016 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato prof. COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore , domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE TREVISO
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. VENETO n. 1560/2015 depositata il 15/10/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La contribuente società RAGIONE_SOCIALE e, per trasparenza, i soci COGNOME NOME e COGNOME NOME erano attinti da collegati avvisi di accertamento in ordine alla deduzione di imposta connessa ai benefici della c.d. ‘Tremonti ambiente’, l. n. 388/2000, per un impianto fotovoltaico realizzato nel 2006 e ritenuto non coerente con gli scopi agevolativi della legge. All’esito di attività istruttoria con richiesta di documenti, debitamente allegati, veniva ritenuto trattarsi di investimento per vendere energia elettrica all’ENEL, piuttosto che per prevenire o ridurre danni ambientali.
Più propriamente, la sentenza n. 1560/18/15 della Commissione Tributaria Regionale di Venezia-Mestre, oggetto del presente procedimento, si riferisce all’impugnazione dell’Avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE per l’anno 2006, notificato dall’Ufficio alla società contribuente al fine di recuperare a tassazione l’intero importo detassato, con conseguente rideterminazione del reddito imponibile da una perdita di € .87.461,00, ad un reddito di € .42.125,00, nonché ai separati avvisi di accertamento notificati ai soci COGNOME NOME e COGNOME NOME in relazione al maggior imponibile IRPEF, avvisi tutti ritualmente impugnati dai destinatari avanti alla C.T.P. di Treviso, che, dopo averli riuniti, li accolse ritenendo che la Società avesse documentato sia l’esistenza dei presupposti per beneficiare delle agevolazioni, sia l’entità della predetta agevolazione.
Contro la sentenza di primo grado appellava l’Ufficio sostenendo invece che l’investimento fosse radicalmente estraneo all’attività di
impresa poiché l’energia prodotta sarebbe stata totalmente ceduta ad ENEL.
Con la sentenza qui in esame, la C.T.R. di Venezia riformava quando disposto dal Collegio trevigiano, affermando che l’intervento operato avesse un mero intento speculativo e che la parte non avrebbe dimostrato il vantaggio ambientale.
Ricorrono per cassazione la società contribuente ed i suoi soci, affidandosi a quattro motivi, cui replica la parte pubblica con tempestivo controricorso.
In prossimità dell’adunanza la parte privata ha depositato memoria ad illustrazione delle proprie ragioni.
CONSIDERATO
Vengono proposti quattro motivi di ricorso.
Con il primo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione o falsa applicazione dell’art. 6, da commi 13 a 19, della legge numero 388 del 2000, nonché dei principi generali dell’ordinamento.
Nello specifico si lamenta sia stato posto in capo alla parte contribuente l’onere della prova in ordine ai presupposti impositivi cioè in ordine alla coerenza dell’investimento con l’attività oggetto sociale.
Con il secondo motivo si prospetta ancora censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 3 del codice di procedura civile per violazione delle stesse disposizioni di cui sopra e della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela ambientale di cui alla decisione 2001/C 37/2003.
Con il terzo motivo si profila ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 nel codice di procedura civile per violazione delle norme di cui sopra nonché dell’articolo 2697 del codice civile, laddove il collegio di merito ha ritenuto non probanti le perizie di parte dimesse dalla società contribuente in ordine alla funzionalità ed ai valori contabili dell’impianto oggetto di investimento.
Con il quarto motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile, per violazione degli articoli 7,16 e 17 del decreto legislativo numero 472 del 1997, nonché censura ai sensi dell’articolo 360 numero 4 del codice di procedura civile per mancata o solo apparente motivazione. Nello specifico, si contesta che le sanzioni siano state irrogate automaticamente, in assenza di un’apposita motivazione sul punto.
Il primo motivo è infondato. Si controverte in tema di agevolazione, comportante una riduzione del carico fiscale a favore della parte contribuente, che pertanto diviene attore in senso sostanziale, cui incombe l’onere di provare la fondatezza e la consistenza della somma portata a deduzione. Nello specifico, l’Ufficio ha chiesto chiarimenti in ordine alla consistenza e qualità dell’investimento, una volta preso atto dell’intervenuta deduzione dei costi dalla competente dichiarazione dei redditi. Non ritenendo ha accertato di conseguenza il maggior reddito, secondo la previsione documentato e giustificato quanto dedotto dall’imponibile, di cui all’articolo 32, primo comma del DPR numero 600 del 1973.
Su tale aspetto l’insegnamento di questa Suprema Corte di legittimità è rigoroso, essendosi precisato che per il principio in virtù del quale è consentito all’imprenditore, in sede di accertamento dell’imposta sul reddito, dedurre dal reddito imponibile anche i costi d’impresa non risultanti dalle scritture contabili non costituisce una deroga alle regole generali in tema di riparto dell’onere della prova, restando, quindi, a carico dell’imprenditore (ovvero, dopo il suo fallimento, del curatore fallimentare) dimostrare di avere effettivamente sostenuto i costi dei quali chiede la deduzione, prova, questa, che, ai sensi dell’art. 2709 c. c., non può essere fornita attraverso la mera annotazione del costo nel libro giornale (cfr. Cass. V, n. 5079/2017).
Il collegio territoriale non ha ritenuto fornita la prova di consistenza ed inerenza del costo portato in deduzione che grava
sulla parte che vuole valersene, cioè la contribuente. Il motivo è dunque infondato.
Parimenti infondato è il secondo motivo, dove si lamenta l’irrilevanza della circostanza che l’incentivo sia stato lucrato per un impianto che ha fornito principalmente corrente all’ENEL.
Al contrario, il tenore della disposizione è chiaro nell’affermare che sono deducibili i costi di acquisto delle immobilizzazioni immateriali che siano collegate ad una prevenzione, riduzione o riparazione di danni ambientali. Tale non è la vendita di energia elettrica, esclusa dunque da una disciplina che non contrasta con le regole eurounitarie di aiuti di Stato alle imprese, solo perché tesa a mitigare l’impatto ambientale (cfr. l n. 388/2000, art. 6, comma 15).
Infatti, in tema di determinazione del reddito d’impresa, gli investimenti aziendali detassati in quanto finalizzati alla prevenzione, riduzione o riparazione di danni causati all’ambiente, di cui all’art. 6 l. n. 388 del 2000, applicabile “ratione temporis,” si identificano nei costi di investimento supplementari necessari per conseguire i previsti obiettivi di tutela ambientale da valutarsi al netto di qualsiasi vantaggio generato dall’utilizzo di tali investimenti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la legittimità della rideterminazione del reddito imponibile operata dall’amministrazione finanziaria, ritenendo che la deduzione integrale del costo di un impianto fotovoltaico, attraverso il calcolo incrementale, non possa prevedere anche la deduzione dell’ammortamento per ognuno dei cinque anni successivi, perché in tal modo si verificherebbe un’illegittima e non prevista duplicazione agevolativa, essendo le quote di ammortamento periodico di un bene strumentale ricomprese nel costo di acquisto dello stesso, già preso a base di calcolo dell’agevolazione in esame) (cfr. Cass. T., n. 23054/2023).
Il terzo motivo è inammissibile laddove si riduce ad una richiesta di rivalutazione del merito, dolendosi che non sia stata data
prevalenza all’apporto probatorio offerto dalla contribuente, con le perizie di parte fornite in giudizio.
Neppure il quarto motivo può essere accolto, laddove le sanzioni sono motivate per relationem , ma in ragione della violazione colposa perpetrata. All’indebita deduzione delle imposte, infatti, consegue l’irrogazione delle sanzioni.
Sul punto, questa Suprema Corte di legittimità ha affermato che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’atto di contestazione avente ad oggetto sanzioni amministrative tributarie non deve essere preceduto dal contraddittorio previsto dall’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000, atteso che esso si inserisce nel procedimento di cui all’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997, il quale ha disegnato, con norme speciali, uno specifico spazio di contraddittorio con il contribuente posteriore all’atto di contestazione, ma preventivo rispetto all’eventuale successivo atto di irrogazione della sanzione (cfr. Cass. V, n. 7620/2021). Ciò è coerente con quanto già da tempo affermato, ovvero che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’irrogazione della sanzione amministrativa (nella specie ex art. 8, comma 3-bis, del d.lgs. n. 471 del 1997), non è assoggettata al termine dilatorio di sessanta giorni, previsto dall’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 per gli atti di natura impositiva, trovando, invece, applicazione la disciplina speciale di cui all’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997, ove sono indicate le peculiari modalità con le quali viene garantito il principio del contraddittorio rafforzato (cfr. Cass. VI-5, n. 11391/2017).
In altri termini, non vi è necessità di motivazione specifica nell’irrogazione delle sanzioni, trattandosi di conseguenza dovuta in ragione della violazione tributaria contestata. Nello specifico, vi è stata un’indebita detrazione di imposta, cui consegue la ripresa a tassazione e l’irrogazione della proporzionale sanzione, senza bisogno di ulteriore motivazione. Lo stesso contraddittorio
preventivo e procedimentale -secondo regole specifiche, di cui si è detto sopra- costituisce controllo di regolarità della procedura di irrogazione delle sanzioni. Donde il motivo non può essere accolto. In definitiva il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €.duemilatrecento/00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18/12/2024.
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