Sei mesi per decidere sul Tfr al primo impiego o con un nuovo datore di lavoro. La scelta per il fondo è irrevocabile, ma il cambio di azienda rimescola le carte.
Per un lavoratore neoassunto, una delle prime e più importanti decisioni riguarda il futuro del proprio Trattamento di Fine Rapporto (Tfr). Al momento dell’ingresso in una nuova azienda, specialmente se si tratta del primo impiego, il dipendente si trova di fronte a un bivio cruciale, formalizzato dalla consegna del modello Tfr2. La scelta va ponderata con estrema attenzione, perché se da un lato è possibile tornare sui propri passi, dall’altro una delle opzioni è definitiva e segnerà l’intero percorso lavorativo.
Sei mesi per una decisione che pesa sul futuro
La legge concede un termine preciso: sei mesi dalla data di assunzione per comunicare al datore di lavoro la propria volontà. Le strade percorribili sono essenzialmente due. La prima opzione, la più tradizionale, è quella di mantenere il Tfr in azienda. In questo caso, per le imprese con almeno 50 dipendenti, le somme non restano materialmente nelle casse aziendali ma vengono versate al Fondo di Tesoreria gestito dall’Inps. La caratteristica fondamentale di questa scelta è la sua reversibilità: in qualsiasi momento futuro, il lavoratore potrà cambiare idea e decidere di aderire alla previdenza complementare. La seconda opzione è destinare l’intero flusso del Tfr a un fondo pensione, che sia di categoria (come Cometa per i metalmeccanici), aperto o un piano individuale. Questa scelta, a differenza della prima, è irrevocabile e non potrà essere modificata per tutta la durata del rapporto di lavoro.
Il pericolo del silenzio-assenso: una scelta non scelta
Cosa accade se il lavoratore, per disattenzione o indecisione, lascia trascorrere i sei mesi senza esprimere una preferenza? In questo caso scatta il meccanismo del silenzio-assenso, una regola pensata per incentivare l’adesione alla previdenza integrativa ma che può trasformarsi in una “scelta non scelta”. Allo scoccare del settimo mese, il datore di lavoro è obbligato a trasferire automaticamente il Tfr maturando al fondo pensione negoziale previsto dal contratto collettivo nazionale di riferimento. In assenza di un fondo di categoria specifico, la destinazione d’ufficio è il fondo Cometa. È importante sottolineare che, in caso di adesione tacita, inizialmente viene versato solo il Tfr; spetterà poi al lavoratore attivarsi per aggiungere un contributo proprio, sbloccando così anche il contributo obbligatorio a carico dell’azienda e beneficiando della relativa deduzione fiscale.
Quando si riaprono i giochi: l’effetto del nuovo lavoro
Nonostante il carattere irrevocabile dell’adesione a un fondo, esistono momenti precisi in cui il lavoratore è chiamato nuovamente a decidere. Il più comune è il cambio di datore di lavoro. Se nel precedente impiego il dipendente aveva lasciato il Tfr in azienda, con la nuova assunzione si riapre una finestra di sei mesi per valutare se mantenere tale impostazione o passare alla previdenza complementare.
Uno scenario ancora più articolato si presenta per chi aveva già aderito a un fondo chiuso come Cometa. Interrompendo il rapporto di lavoro, si perdono i requisiti di partecipazione a quel fondo specifico. Di conseguenza, con l’avvio della nuova attività, il lavoratore si troverà di fronte a una nuova scelta per il Tfr che maturerà da quel momento in poi, con le stesse regole e la stessa scadenza semestrale. La posizione già accumulata nel vecchio fondo, invece, potrà essere gestita in tre modi: riscattata (totalmente o parzialmente, secondo le regole), mantenuta in gestione nel fondo di origine, oppure trasferita al nuovo fondo pensione scelto.
La decisione va ponderata anche sotto il profilo fiscale: mentre il Tfr liquidato dall’azienda sconta una tassazione separata con aliquote dal 23% al 43%, le prestazioni erogate dai fondi pensione (in capitale o rendita) beneficiano di un’imposta sostitutiva molto più vantaggiosa, compresa tra il 15% e il 9% in base agli anni di permanenza nel fondo.
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