Perché Madrid attrae più investimenti esteri dell’Italia



Tra riforme audaci, burocrazia snella e mercato del lavoro rinnovato: ecco perché le cifre parlano chiaro.

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Negli ultimi dieci anni la Spagna ha consolidato un vantaggio netto sull’Italia negli investimenti diretti esteri (IDE). L’evidenza è chiara: oltre alla quantità di capitali attratti, contano le riforme, la certezza regolatoria e la capacità amministrativa. Non basta guardare i numeri: bisogna leggere le scelte politiche e gli incentivi che stanno dietro a quelle cifre.

Lo stato dei fatti

Dal 2015 al 2024 la Spagna ha raccolto oltre 300 miliardi di euro di IDE, mentre l’Italia è rimasta sotto 200 miliardi. Anche sul fronte greenfield il confronto è netto: in Spagna centinaia di nuovi progetti hanno generato decine di migliaia di posti di lavoro in più rispetto all’Italia. Il messaggio per gli investitori è semplice: prevedibilità e tempistiche certe fanno la differenza.

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Perché la Spagna vince

La Spagna ha agito su tre leve decisive: mercato del lavoro, certezza delle regole, efficienza amministrativa. La riforma del lavoro approvata a fine 2021, costruita con dialogo sociale, ha ridotto l’abuso dei contratti a termine e rafforzato la contrattazione. Il salario minimo è cresciuto sostenendo la domanda interna. In parallelo, una PA più digitalizzata e tempi procedurali più chiari hanno allineato interessi pubblici e privati.

“Attrarre capitali richiede un approccio sistemico, non misure isolate” — Valerio De Molli.

“La complessità burocratica e l’alto cuneo fiscale restano ostacoli chiave in Italia” — Giorgio Busnelli.

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I nodi italiani

In Italia pesano frammentazione normativa, tempi della giustizia e difformità regionali. Il risultato è incertezza per chi deve pianificare investimenti pluriennali. A ciò si sommano un cuneo fiscale elevato e riforme spesso parcellizzate, prive di una regia capace di garantire continuità. Anche quando l’occupazione cresce, il trasferimento in produttività e salari resta parziale.

Le leve che fanno la differenza

  • Mercato del lavoro: puntare su stabilità contrattuale e formazione per ridurre la precarietà e orientare gli investimenti di lungo periodo.

  • Domanda interna: rafforzare il potere d’acquisto sostiene consumi e servizi, rendendo più attraente il mercato domestico.

  • Sconto crediti fiscali

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  • Amministrazione pubblica: più digitale e prevedibile, con tempi certi per permessi e autorizzazioni.

  • Agenda industriale: focus su transizione verde e trasformazione digitale, con incentivi chiari e valutazioni d’impatto.

Attenzione alle ombre

Il modello spagnolo non è esente da rischi: comparti come turismo ed edilizia restano ciclici e sensibili agli shock. Misure espansive, se non accompagnate da innovazione e produttività, possono generare squilibri. La chiave resta l’esecuzione: continuità delle politiche, monitoraggio degli effetti, correzioni rapide.

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Per colmare il divario servono scelte trasparenti e verificabili:

  • Un patto per la certezza: norme chiare e tempi vincolanti per autorizzazioni e contenziosi.

  • Una vera semplificazione che riduca i livelli decisionali e renda omogenee le regole tra regioni.

  • Formazione e competenze come politica industriale: ITS, università, upskilling continuo.

  • Un percorso pluriennale di riduzione del cuneo su donne e giovani per aumentare la partecipazione al lavoro.

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  • Una pipeline stabile di progetti green e digital per catalizzare investimenti privati.

La Spagna ha scelto coerenza e continuità

Le cifre non sono opinioni. La Spagna ha scelto coerenza e continuità. L’Italia ha risorse, capitale umano e posizione per recuperare: serve una scossa di sistema, non interventi timidi. Se non ora, quando?



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