Occorre un patto educativo tra università e imprese per mantenere vive le competenze dei lavoratori. Oggi la quarta rivoluzione industriale avrà una durata forse di vent’anni. Le competenze diventano obsolete in tempi rapidi
I 54 licenziamenti alla Cerence di Torino non sono soltanto una crisi aziendale. Sono il sintomo di una trasformazione profonda del lavoro intellettuale e tecnico nell’era dell’intelligenza artificiale. Non è la prima volta che l’innovazione travolge interi settori. La differenza, oggi, è la velocità. Le prime tre rivoluzioni industriali si sono dispiegate nell’arco di 80-90 anni, tempo sufficiente perché le conoscenze acquisite a scuola e all’università rimanessero valide per tutta una vita lavorativa. Oggi la quarta rivoluzione industriale – digitale e cognitiva – avrà una durata forse di vent’anni. Significa che le competenze diventano obsolete in tempi rapidissimi. E che ciò che abbiamo imparato a vent’anni rischia di essere superato a quaranta.
Salari bassi e qualifiche alte
Ecco perché il caso Cerence non riguarda solo chi ha perso il posto. Riguarda l’Europa e l’Italia intere. Da un lato, la contraddizione tra salari bassi e qualifiche alte, che spinge i giovani a cercare altrove opportunità migliori. Dall’altro, la mancanza di strumenti di aggiornamento costante che permettano a chi ha competenze specialistiche di reinserirsi in nuovi cicli produttivi. Il rischio è duplice: impoverire il tessuto industriale e disperdere capitale umano.
Patto educativo
La risposta non può essere solo difensiva. Serve un nuovo patto educativo. Le università italiane, nate come istituzioni che stipulano «contratti triennali o quinquennali con gli studenti perché acquisiscano conoscenze e competenze e titoli di studio triennali e quinquennali», devono trasformarsi in luoghi che accompagnano le persone lungo l’intero arco della vita. Non più un’esperienza unica e conclusa, ma «un’assicurazione per l’educazione per la vita», simile alle assicurazioni sanitarie (sistema sanitario nazionale incluso): tornare a scuola più volte, aggiornarsi, acquisire nuove competenze per non restare esclusi.
Per farlo occorre una governance universitaria diversa, capace di intrecciarsi con le imprese, con le città e con i territori. Torino, che da capitale dell’auto vuole diventare capitale dell’intelligenza artificiale, non può permettersi di disperdere i saperi maturati in decenni di ricerca. Servono politiche per attive dell’educazione per la riqualificazione, un patto con i sindacati e le rappresentanze dei datori di lavoro, incentivi per le imprese che investono nel capitale umano, alleanze tra università, centri di ricerca e aziende. Non basta attrarre multinazionali dei microchip o start-up innovative. Occorre un ecosistema che protegga e rinnovi le competenze, altrimenti ogni crisi industriale sarà una voragine.
Quarta rivoluzione industriale
La lezione di Cerence è chiara: senza una strategia di formazione continua, l’Italia rischia di formare ottimi ingegneri, destinati però a salari bassi e carriere fragili. La quarta rivoluzione industriale è già iniziata. Non possiamo fermarla, ma possiamo governarla. Con una sola consapevolezza: l’educazione non è più un biglietto d’ingresso una volta per tutte, è il filo che dovrà accompagnarci per tutta la vita e le Università (con contratti per la vita con i loro studenti) avranno un ruolo centrale nella gestione delle transizioni.
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