Cosa accade quando, a distanza di anni dall’indizione di una
gara, alcuni componenti di un raggruppamento
temporaneo di imprese scelgono di non confermare l’offerta
ormai scaduta? Tale comportamento può essere considerato come un
recesso elusivo e comportare l’esclusione dell’intero
RTI?
E, ancora, la stazione appaltante può procedere automaticamente
all’incameramento della cauzione provvisoria in
caso di esclusione, indipendentemente da una valutazione concreta
della condotta dell’operatore?
Escussione garanzia provvisoria: quando è illegittima?
Sono interrogativi che hanno impegnato prima il giudice
amministrativo nazionale e poi la Corte di giustizia dell’Unione
europea, fino alla recente decisione del Consiglio di Stato. La
sentenza
del 30 giugno 2025, n. 5656, riguarda una vicenda nata
nell’ambito di una procedura di affidamento di servizi suddivisa in
più lotti territoriali, con importi a base di gara complessivamente
superiori al miliardo di euro.
Si trattava dunque di un appalto di particolare rilevanza
strategica, in cui la competizione tra gli operatori si è protratta
per anni. A causa delle numerose proroghe dei
termini, la stazione appaltante aveva più volte richiesto
ai concorrenti di confermare la validità delle offerte e di
rinnovare le relative garanzie provvisorie (art. 75 d.lgs. n.
163/2006). Dopo l’ennesima richiesta di conferma, alcuni operatori
mandanti di un RTI hanno dichiarato di non voler proseguire,
ritenendo non più sostenibile un impegno di tale durata, aggravato
dagli oneri economici legati alle continue estensioni.
I restanti componenti hanno invece confermato le offerte e
dimostrato di possedere, in proprio, tutti i requisiti di capacità
tecnica ed economica richiesti (artt. 37 e 38 d.lgs. n. 163/2006).
Nonostante ciò, la stazione appaltante ha qualificato la mancata
conferma come un recesso elusivo, disponendo l’esclusione
dell’intero RTI e l’incameramento automatico delle garanzie
provvisorie prestate, per un importo complessivo prossimo ai 3
milioni di euro.
La decisione del TAR e il rinvio alla Corte di giustizia
Il giudice di primo grado aveva ritenuto legittima l’esclusione,
assimilando la mancata conferma dell’offerta a un vero e proprio
recesso dalla compagine, con effetti destabilizzanti sulla
regolarità della procedura.
Analoga valutazione era stata svolta per l’incameramento della
cauzione, considerato conseguenza automatica
dell’esclusione ai sensi dell’art. 48 del d.lgs. n.
163/2006.
In appello, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto necessario
sollevare un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia
dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, chiedendo se tali
norme interne fossero compatibili con i principi comunitari di
proporzionalità, concorrenza, parità di trattamento e libertà di
stabilimento, sanciti dalla direttiva 2004/18/CE (art. 2 e
considerando 2).
La Corte di giustizia, con una pronuncia del 2024, ha affermato
che:
- gli articoli 47 e 48 della direttiva 2004/18/CE, letti alla
luce del principio di proporzionalità, non ostano alla
possibilità che un componente di un RTI decida di non confermare
l’offerta scaduta, purché i restanti partecipanti
mantengano i requisiti e non vi sia pregiudizio alla
concorrenza; - i principi di proporzionalità e trasparenza impediscono
l’incameramento automatico della cauzione provvisoria in
caso di esclusione, imponendo invece una valutazione specifica
delle circostanze del caso.
Vediamo sulla base di queste indicazioni cosa hanno deciso i
giudici di Palazzo Spada.
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