Dopo la Germania, la Francia. Nelle ultime settimane c’è un grande ritorno sul tema dalla presunta insostenibilità del debito pubblico. Pochi giorni fa un voto di sfiducia ha mandato a casa l’ennesimo governo senza sostegno parlamentare voluto da Macron. Il tema su cui si è giocato il sostegno al governo è lo status delle finanze pubbliche.Per tutti i paesi la crisi Covid ha significato un aumento dell’indebitamento pubblico, per la necessità di spesa per sostenere imprese e lavoratori fermi per le misure pandemiche e per la caduta del pil che si può tassare.
La Francia negli anni precedenti era riuscita a stare sotto il 100% del rapporto debito/pil; per la precisione dal 2016-2019 era al 98%. Nel 2020 la percentuale sfonda tale soglia (irrilevante sul piano della realtà, ma dal valore psicologico): nel 2024 era al 113% e si prevede di arrivare al 116%.
Adesso il debito francese è il terzo più ingente dell’Ue, dopo Italia e Spagna. Se si guarda tuttavia al peso assoluto è il primo, stimato in 3345 mld € (il secondo è quello italiano, corrispondente a 3033 mld€) secondo i dati Eurostat del primo trimestre del 2025. Ma i calcoli da ragioniere non rappresentano adeguatamente le questioni macroeconomiche di fondo. Il debito pubblico viene rapportato al pil, perché ovviamente le dimensioni assolute vanno confrontate con la grandezza dell’economia (così come un debito di 100mila € per molti è un problema, ma non per Bill Gates!).
In enti come famiglie e aziende i redditi sono slegati dai consumi dei componenti, in tal modo il taglio delle spese produce risparmio, perché le entrate non cambiano. In uno Stato non è così, perché la caduta della spesa pubblica provoca una flessione del pil immediata; una politica fiscale restrittiva – per cui lo Stato prende ai cittadini più di quanto dia in servizi – scoraggia i consumi. E la caduta degli investimenti azzoppa la crescita sul lungo periodo. ù
L’ovvia implicazione è che l’austerità alla fine aumenta il debito pubblico, come il governo Monti ci ha tristemente insegnato. Ed invece gran parte del dibattito su cosa fare per contenere l’indebitamento si arrovella su quanti tagli possono essere fatti senza provocare una rivolta nel paese. La crescita del pil francese è bassa: negli ultimi anni si aggira sull’1% (dal +2,6% nel 2022 a 1,1% nel 2023 a 1,06% nel 2024 e il Fmi stima un pallido 0,6% a fine 2025, ma si potrebbe facilmente andare in negativo).
Il debito pubblico è, com’è noto, la somma dei deficit annuali (il saldo negativo fra entrate e uscite), che nel 2024 in Francia ha raggiunto la cifra di 169 mld €, corrispondenti al 5,8% del pil. Ma tale cifra è comprensiva degli interessi sul debito. Il finanziamento di esso ha visto un vero e proprio processo di privatizzazione. Le banche centrali possono abbassare i tassi comprando i titoli, ma hanno attenuato tale funzione lasciando agire le forze di mercato, cioè gli investitori privati che richiedono un profitto per mettere i loro capitali a disposizione.
La Bce è tornata ad avere un ruolo in tal senso comprando i titoli di Stato dal decennio scorso; sostanzialmente stampando soldi dal nulla e dandoli agli Stati. Tale processo ha avuto un apice con la crisi del covid, quando nel 2020 molti stati hanno avuto un ribasso del pil fino a 10 punti. Quello che succede ora è che le banche centrali hanno cessato gradualmente tale sostegno, in mancanza del quale gli Stati devono ricominciare a dipende in misura significativa dagli investitori privati. Secondo i dati Bce emerge che nel 2020-21 gli acquisti di titoli francesi sono stati sull’ordine di 35-40 mld annui. Le cifre sono diminuite di molto, e così si parla della Francia come del “nuovo malato d’Europa”.
Come si vede esistono i mezzi per ridurre la spesa dell’indebitamento, ma la leva della banca centrale è stata preclusa dalla autonomia della Bce, che l’ha resa irresponsabile di fronte ai Parlamenti. Ma anche se tale via appare preclusa, una possibilità sarebbe di diminuire il deficit con una tassazione dei patrimoni. Dall’ultima ricerca disponibile, circa il 47% della ricchezza privata – circa 6850 mld€ – in Francia è detenuta dal 10% più ricco. Preferire i tagli a una tassazione è una scelta politica, ed è molto chiara quale sia quella del presidente Macron.
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