Taranto a rischio e decarbonizzazione



Tra garanzie pubbliche e scontro locale, il futuro dell’acciaio green resta in bilico.

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(Foto: tavolo del Governo sull’Ilva ).

Il clamoroso dietrofront dell’Azerbaijan Investment Company con Baku Steel — il loro disimpegno dalla partita per l’ex Ilva — riduce sensibilmente la possibilità di una cessione unitaria di Acciaierie d’Italia. In corsa restano Jindal Steel International e Bedrock Industries, con cui i commissari straordinari stanno proseguendo il confronto in cerca di un perimetro industriale credibile.

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Scadenze in bilico

Le offerte vincolanti erano attese per il 15 settembre, ma il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha aperto alla proroga qualora i proponenti ne facciano richiesta. Pesano i paletti alla decarbonizzazione fissati dal governo: obiettivi ravvicinati, tempi stretti e un quadro tecnico che richiede documentazione robusta.

Il nodo rigassificatore

Il progetto di installare a Taranto una nave rigassificatrice per alimentare il polo del preridotto (DRI) ha incontrato una opposizione netta sul territorio. In assenza dell’approdo, prende quota l’ipotesi di collocare il polo DRI a Gioia Tauro, con conseguenze dirette sul baricentro energetico della transizione e sulla tenuta industriale del sito ionico.

Ministero e territorio

Il governo spinge per un piano di decarbonizzazione integrale e per una rapida esecuzione degli interventi. Dal territorio, invece, arrivano richieste di garanzie ambientali e chiarezza sugli investimenti, in un equilibrio difficile tra sicurezza energetica, continuità produttiva e accettabilità sociale delle scelte.

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Sindacati in allarme

La Fim Cisl denuncia che Taranto paga ritardi, assenza di strategia e uno stallo sulle bonifiche, chiedendo un progetto condiviso che restituisca alla città un ruolo da protagonista. L’Usb sostiene che, a fronte di maxi-garanzie pubbliche stimate tra 800 milioni e 1 miliardo, lo Stato dovrebbe assumere il controllo diretto degli asset, avviando una vera nazionalizzazione.

Ambiente e proteste

Confindustria Taranto sollecita chiarezza su occupazione, investimenti e indotto, mentre i movimenti ambientalisti annunciano una mobilitazione davanti al Comune il 16 settembre, invitando l’amministrazione a ricorrere contro l’AIA. La città si muove fra salute, lavoro e transizione, con una frattura che resta aperta.

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Unità o spezzatino

La vendita dell’ex Ilva potrebbe materializzarsi come pacchetto unico oppure come spezzatino: cessione separata dei poli del Nord (Genova, Novi Ligure, Racconigi) e di Taranto, oppure il solo sito ionico. La scelta dipenderà dalla qualità dei piani industriali, dalla capacità d’investimento e dal grado di impegno sulla decarbonizzazione che gli offerenti si diranno pronti a sottoscrivere.

Una transizione in equilibrio precario

La partita dell’ex Ilva è emblematica: investitori che valutano i rischi, governo che alza l’asticella degli obiettivi green, istituzioni locali divise e una comunità che chiede lavoro, salute e alternative credibili. Il nodo del rigassificatore è il simbolo di una domanda più profonda: “come realizzare la transizione ecologica in un’area che ha già pagato un prezzo sociale e ambientale elevato, senza disperdere occupazione e saperi industriali?”

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