Moda, le fiere trainano il made in Italy ma la pelletteria resta in affanno


Non soltanto esposizione di collezioni, ma anche scambio di idee, intreccio di culture commerciali, confronto diretto tra chi produce e chi compra. Le fiere, oggi più che mai, rappresentano uno spazio in cui il settore della moda prova a trasformare le incertezze dei mercati globali in occasioni di rilancio. Nei padiglioni si incrociano tradizione manifatturiera e nuove tendenze, strategie di internazionalizzazione e ricerca di contatti concreti. In questa cornice si collocano i risultati di Micam (salone internazionale delle calzature) e Mipel (fiera internazionale della pelletteria e degli accessori moda) che hanno chiuso l’edizione di settembre con 20.362 visitatori, di cui il 57% provenienti dall’estero, con presenze rilevanti da Spagna, Germania, Francia e Polonia, ma anche da mercati lontani come Cina e Giappone, fino a Nigeria e Sudafrica.

“Per le aziende che partecipano al Mipel – in gran parte Pmi a marchio proprio – il momento della fiera resta fondamentale”, sottolinea Claudia Sequi, presidente di Assopellettieri e Mipel. “È l’occasione per presentare le collezioni a tutti i buyer, italiani ma soprattutto internazionali. Abbiamo avuto affluenza da 120 Paesi diversi: un appuntamento imprescindibile per chi vuole proporre la propria linea a una platea globale. Non è soltanto un momento di lancio commerciale, ma anche un osservatorio privilegiato per cogliere nuove tendenze e capire come evolve il mercato della pelletteria”.

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Più di mille marchi hanno presentato le collezioni per la primavera-estate 2026, confermando la centralità dei due saloni per il sistema moda. La rassegna di settembre ha avuto anche un valore simbolico: Micam ha celebrato la sua centesima edizione. Per l’occasione il ministero delle Imprese e del Made in Italy ha emesso un francobollo commemorativo, inserito nella serie dedicata alle eccellenze produttive italiane, mentre la mostra 100 Steps Into The Future ha ripercorso l’evoluzione del salone dalle origini a Vigevano nel 1931 fino a oggi.

Attorno alle manifestazioni il contesto resta però fragile. Secondo i numeri diffusi da Assopellettieri, il primo semestre del 2025 ha registrato un ulteriore arretramento dell’export della pelletteria, pari a -7,5% nei primi cinque mesi, dopo il -9% che aveva già segnato il 2024. Le vendite all’estero, da sempre volano del settore – che realizza oltre l’85% del fatturato oltreconfine – hanno sofferto soprattutto nei mercati extra-Ue (-10,6%), mentre l’Europa ha contenuto le perdite (-1,5%). In sofferenza soprattutto il Far East, con cali vicini al -30% in Cina, -13% a Hong Kong e -11% in Giappone, mentre segnali positivi arrivano dal Medio Oriente, con Emirati Arabi (+35,7%) e Qatar (+49,9%). Sul fronte interno, la domanda rimane debole: il commercio al dettaglio di articoli in pelle e calzature ha segnato -2,2% nel primo semestre, confermando la stagnazione dei consumi nazionali. Non sorprende quindi che il fatturato del campione di imprese monitorate dal Centro Studi di Confindustria Accessori Moda per Assopellettieri sia sceso del 6,9%, con effetti anche sull’occupazione (-2,5% gli addetti).

“Il settore vive un momento complicato a tutti i livelli”, osserva Sequi. “Paradossalmente, le aziende più piccole e flessibili, con una clientela consolidata e una nicchia di mercato, riescono in alcuni casi ad affrontare meglio le turbolenze. Ma le difficoltà non sono più congiunturali: sono strutturali. Servono quindi azioni immediate, dalla cassa integrazione in deroga a una facilitazione dell’accesso al credito, fino a veri crediti d’imposta per sostenere l’innovazione creativa e tecnologica. A lungo termine, invece, chiediamo un abbassamento e una maggiore flessibilità del costo del lavoro, una revisione del cuneo fiscale per premiare le nostre maestranze e un supporto più incisivo all’internazionalizzazione”.

Claudia Sequi, presidente di Assopellettieri e Mipel 

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Proprio su quest’ultimo fronte Sequi intravede le prospettive di rilancio: “In Europa restano solide Germania, Spagna, Polonia e Romania, mentre Regno Unito, Giappone, Corea del Sud e soprattutto Cina sono in forte sofferenza. Extra-Ue, vediamo tendenze incoraggianti in Kazakistan e, in parte, negli Stati Uniti, ma soprattutto nel Medio Oriente, in paesi come Emirati Arabi, Qatar e in Turchia. Sono mercati che dobbiamo curare, anche se partono da valori molto più bassi rispetto a quelli tradizionali. C’è poi l’opportunità del Mercosur (mercato comune sudamericano, ndr) che aprirebbe un nuovo fronte in America Latina”.

Per affrontare queste sfide, conclude la presidente, “le nostre aziende – spesso di piccole dimensioni – hanno bisogno di sostegno concreto da parte delle istituzioni: ministeri, Ice, ambasciate e regioni devono accompagnarle verso mercati lontani e complessi. È questa la via d’uscita”.



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