Moda in Sardegna, 338 imprese attive tra dazi e difficoltà a reperire professionisti – Cagliaripad.it


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Nei giorni in cui si celebra il mito di Giorgio Armani, il quadro complessivo del settore moda appare tutt’altro che idilliaco. Il fashion sardo, ad esempio, continua a vivere una fase difficile. Tra dazi internazionali, tensioni geopolitiche e rallentamento della domanda globale, la ripresa post-pandemica appare ancora lontana per le 338 imprese isolane del comparto moda, di cui 268 artigiane, attive nei settori tessile, abbigliamento, calzature, pelle, occhialeria e gioielleria.

Secondo il dossier di Confartigianato Sardegna, negli ultimi 6 anni il numero delle aziende è sceso da 400 a poco più di 330, con 798 addetti complessivi, di cui 539 artigiani. La distribuzione territoriale vede Cagliari in testa con 95 imprese e 299 addetti, seguita dal nord Sardegna con 106 realtà e 269 lavoratori, mentre numeri più ridotti si registrano a Nuoro, Oristano e Sud Sardegna.

“Il sistema moda non è solo grandi firme, ma è anche una vasta rete di piccoli artigiani, che dal disegno al taglio realizzano capi unici” spiega Giacomo Meloni, presidente di Confartigianato Imprese Sardegna. “La sartoria artigianale nonostante, o forse grazie alla crisi, è un settore ancora vivace, ed il sarto è una professione a tutto tondo riscoperta da giovani e meno giovani, specie donne, che vogliono distinguersi”.

Il quadro nazionale mostra come il Tac (tessile, abbigliamento e calzature) resti un pilastro del made in Italy, con 79mila imprese e un export da oltre 62 miliardi di euro. Tuttavia, anche qui emergono criticità: il 72% delle figure professionali richieste – sarti, modellisti, tagliatori – è difficile da reperire, complici carenze di candidati e gap formativi.

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Confartigianato sottolinea inoltre l’urgenza di politiche mirate: decontribuzione, sostegno all’export, incentivi per digitalizzazione e green economy. “Occorrono politiche per stimolare i consumi interni della moda – dice ancora Meloni – e per aiutare le imprese a rafforzare la loro presenza nei mercati esteri, attraverso una visione di filiera. Le nostre aziende hanno bisogno di misure concrete di sostegno, come la decontribuzione, per affrontare le sfide legate a ricerca, innovazione digitale e formazione del personale”.

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