Una corsa contro il tempo che si è conclusa finora con un”nulla di fatto”. Il meccanismo del payback sui dispositivi medici, che obbliga le imprese a ripianare parte degli sforamenti della spesa sanitaria regionale, torna a far discutere. La scadenza per il pagamento da parte delle aziende fornitrici è scattata lo scorso 9 settembre. Le associazioni di categoria avevano chiesto al governo un intervento urgente per rinviare il termine e introdurre correttivi a una norma definita “iniqua e penalizzante” per il settore, soprattutto per le piccole e medie imprese. A mancare, come avevamo già scritto, è una franchigia che espone molte Pmi a rischio di chiusure e fallimenti aziendali.
L’appello dalla Fifo
“Abbiamo richiesto al Mef un intervento urgente per rinviare la scadenza del 9 settembre per il pagamento del payback sui dispositivi medici”, aveva dichiarato alla vigilia della deadline Sveva Belviso, presidente di Fifo Sanità Confcommercio. Secondo l’associazione, molte piccole e medie imprese, pur avendo manifestato l’intenzione di aderire al pagamento ridotto, si trovano oggi impossibilitate a farlo, soprattutto per problemi di liquidità.
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Il nodo principale, spiegava Belviso, riguarda la tempistica: “La norma che consente l’accesso ai finanziamenti garantiti è entrata in vigore solo il 10 agosto, con scadenza dei termini fissata per il 9 settembre, in pieno periodo di chiusura degli istituti di credito. Una situazione che ha aggravato ulteriormente le difficoltà delle aziende”. La Fifo aveva quindi chiesto al governo di posticipare il termine, per consentire alle imprese di completare le pratiche necessarie.
Altro punto critico è quello delle compensazioni: l’associazione ha ribadito la necessità che il Mef indichi chiaramente alle Regioni di applicare la misura solo sul 25 per cento degli importi, come stabilito dalla Corte Costituzionale, evitando interpretazioni che rischierebbero di “penalizzare ingiustificatamente” il settore e comprometterne la continuità.
La denuncia: “Si rischiano conseguenze devastanti”
Il fronte della protesta si allarga anche a livello locale. Asfo Sanità Abruzzo-Molise, attraverso il suo vicepresidente nazionale e presidente regionale Ivan Pantalone, denuncia che il mancato inserimento della franchigia per le aziende con fatturato sotto i 5 milioni di euro rischia di avere “conseguenze drammatiche” sull’intero comparto.
“Il governo ha perso un’occasione per rimediare a una stortura normativa che da anni penalizza le imprese italiane”, sostiene Pantalone, ricordando che il 95% del settore è composto da piccole e medie imprese. Il consiglio direttivo di Asfo Abruzzo-Molise si è riunito in via straordinaria per analizzare le ricadute della misura, segnalando che molte aziende locali non riusciranno a far fronte alle richieste economiche e rischiano di chiudere.
Il meccanismo del payback, introdotto per coprire gli sforamenti della spesa pubblica sanitaria, come già spiegato qui, obbliga i fornitori a rimborsare anche per forniture effettuate anni fa. Una dinamica che, secondo Pantalone, “scarica sulle imprese responsabilità che non spettano loro, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro e la stessa tenuta economica del settore”.
Pur riconoscendo come un passo avanti la sospensione delle azioni esecutive fino a fine 2025 e l’accesso al fondo di garanzia Pmi, Asfo chiede interventi più incisivi: “Serve la cancellazione definitiva della norma. Senza la reintroduzione della franchigia e una revisione strutturale, questa misura rischia di diventare la pietra tombale per migliaia di piccole realtà produttive, con effetti negativi non solo per le imprese, ma anche per i lavoratori e i pazienti”. E il braccio di ferro, tra produttori e governo, non sembra di certo destinato a finire qui.
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