Non basta esportare: senza innovazione, formazione e impresa grande, il Paese resta inchiodato.
Il quadro che fa riflettere
L’Italia arranca da oltre trent’anni sul fronte della produttività del lavoro. Dalla metà degli anni Novanta la crescita media annua è stata debolissima, e dal 2019 la dinamica è sostanzialmente ferma. È il sintomo di un circolo vizioso: salari stagnanti, investimenti inadeguati, innovazione insufficiente. Il paradosso è che il Paese ha comunque mostrato buone performance su Pil, occupazione ed export nell’ultimo triennio, ma senza trasformarle in progresso di efficienza.
Cresce l’occupazione, ma scende l’efficienza
Tra 2019 e 2024 gli occupati sono aumentati, ma la produttività per addetto non ha tenuto il passo. A trainare l’impiego sono stati settori a basso valore aggiunto, mentre lo shock inflazionistico 2022-2023 ha reso il lavoro relativamente più conveniente del capitale. Il risultato è stato un’allocazione distorta: più teste, poca tecnologia, poca riorganizzazione dei processi.
“Il 33,5% delle imprese ritiene di non dover investire in tecnologie digitali nel prossimo biennio. Non è una buona notizia.” — Carlo Altomonte, coordinatore del Comitato nazionale produttività del Cnel.
Il tallone d’Achille: investimenti immateriali e competenze
Il divario con l’Europa è particolarmente marcato negli investimenti immateriali — software, ricerca e sviluppo, capitale organizzativo — che sono il vero motore della produttività. A ciò si somma un deficit ormai cronico di competenze digitali: solo una minoranza dei lavoratori possiede abilità ICT avanzate, e la quota di laureati in discipline STEM resta troppo bassa. Senza capitale umano qualificato, gli incentivi si trasformano in fiammate e non in cambiamenti strutturali.
Microimprese come freno alla produttività
La nostra struttura industriale è frammentata: una fitta rete di micro e piccole realtà che fatica a crescere, innovare, internazionalizzarsi e scalare le catene globali del valore. Le grandi imprese, quando presenti, mostrano livelli di efficienza nettamente superiori, in particolare nei servizi a più alto contenuto tecnologico.
“Occorre far crescere la piccola e piccolissima impresa: introdurre nuove tecnologie, competenze, formazione e investire sul capitale umano.” — Renato Brunetta, presidente Cnel.
Divari territoriali da colmare
Il Mezzogiorno sconta un gap di produttività significativo rispetto al Centro-Nord, anche a parità di settore e dimensione d’impresa. Non bastano gli interventi a pioggia: servono infrastrutture efficienti, amministrazioni capaci, ecosistemi dell’innovazione connessi a università e filiere produttive. Altrimenti, ogni miglioramento rischia di restare episodico.
Le raccomandazioni del rapporto
Le direttrici sono chiare e, soprattutto, urgenti:
- Competenze e innovazione: potenziare la formazione tecnica e professionale (ITS), rafforzare gli incentivi a R&S e alla trasformazione digitale, favorire l’adozione di software avanzati e l’organizzazione dei processi.
- Crescita dimensionale: rimuovere i disincentivi normativi e fiscali che bloccano le PMI, facilitare passaggi generazionali e aggregazioni, sostenere l’accesso ai capitali.
- Riduzione dei divari territoriali: concentrare le risorse su progetti ad alto impatto, semplificare la governance, responsabilizzare gli enti attuatori con obiettivi misurabili.
“Senza una prospettiva di lungo periodo, i governi rinviano i nodi strutturali di produttività e crescita.” — Alessandro Turrini, Commissione europea, direzione Affari economici e finanziari.
“Serve un grande piano europeo per l’innovazione, coordinato e finanziato con strumenti comuni.” — Marcella Panucci, docente Luiss ed ex direttrice generale di Confindustria.
“Il rapporto è uno strumento per decidere: la formazione da sola, senza opportunità e salari adeguati, alimenta la fuga dei cervelli.” — Ottavio Ricchi, direttore generale Analisi e ricerca del Tesoro.
Così l’Italia resterà inchiodata allo zero virgola
Non bastano export e buone statistiche congiunturali. Senza innovazione diffusa, capitale umano e imprese più grandi, l’Italia resterà inchiodata allo zero virgola. La cura è nota: riforme che premino gli investimenti immateriali, una politica industriale che favorisca crescita e aggregazioni, una scuola e un’università orientate alle competenze che servono davvero. È il momento di passare dalla tattica alla strategia.
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